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Il ruolo cruciale dell’allevamento per una dieta sana e sostenibile
Sostenibilità
28/02/2024
3 min.
Sostenibilità

L’importanza dell’allevamento nell’assicurare la sicurezza alimentare è un tema centrale e recentemente la Food and Agriculture Organization delle Nazioni Unite (FAO) ha rafforzato questo concetto attraverso il suo studio intitolato “Il contributo degli alimenti di origine animale nelle diete sane per una migliore alimentazione e la salute” (1). Questo nuovo studio, commissionato dal Comitato per l’Agricoltura della FAO, enfatizza l’indispensabile contributo degli allevamenti zootecnici alla promozione di diete sane e sistemi alimentari sostenibili. 

  1. L’importanza nutrizionale di carne, uova e latte

Abbiamo più volte parlato in questo blog dell’alto valore nutritivo della carne bovina (ad esempio qui e qui), una preziosa fonte di: 

proteine di alta qualità, essenziali per la crescita e il mantenimento dei tessuti corporei 

importanti micronutrienti come il ferro, lo zinco e le vitamine del gruppo B, che sono fondamentali per il benessere umano. 

Alla luce delle più recenti e attendibili evidenze, il report FAO ci ricorda che la carne rappresenta una parte importante di molte diete globali e contribuisce a contrastare la malnutrizione proteica. Insieme a uova e latte, è una componente indispensabile di una dieta sana e bilanciata, in quanto questi alimenti sono ricchi di proteine, vitamine e minerali, che svolgono un ruolo cruciale nella salute umana nelle diverse fasi della vita, inclusa la crescita e lo sviluppo adeguati. 

  1. Sostenibilità ed impatto economico e sociale degli allevamenti

Se eliminare la carne dalla dieta non è sostenibile da punto di vista nutrizionale, è altrettanto vero che l’eliminazione degli allevamenti non rappresenterebbe una soluzione al problema della sostenibilità (ne abbiamo parlato anche qui). Infatti, il report FAO sottolinea come l’allevamento sia in grado di fornire importanti servizi all’ecosistema, come la gestione del paesaggio, la produzione di energia rinnovabile e il miglioramento della fertilità del suolo. 

Oltre ai benefici nutrizionali e ambientali, gli allevamenti contribuiscono in modo significativo a sostenere l’economia locale, creando opportunità di occupazione e favorendo la sicurezza alimentare delle comunità rurali. Promuovono, inoltre, la diversificazione economica e la resilienza delle comunità agricole. 

  1. L’allevamento come chiave contro l’insicurezza alimentare

La FAO sottolinea che, nel contesto dell’aumento del numero di persone denutrite nel corso degli ultimi anni, l’allevamento può svolgere un ruolo significativo nel contrastare l’insicurezza alimentare. Si prevede che quest’anno 345 milioni di persone saranno in uno stato di insicurezza alimentare, di cui la metà sono bambini. La FAO riconosce, dunque, l’importanza dell’allevamento nella lotta contro le carestie, con oltre un miliardo di persone che dipendono globalmente dal bestiame per il loro sostentamento. 

In conclusione, il rapporto sottolinea l’importanza dell’allevamento come fonte insostituibile di alimenti nutrienti come carne, uova e latte. La gestione sostenibile degli allevamenti bovini non solo garantisce la fornitura di nutrienti essenziali, ma contribuisce anche alla conservazione delle risorse naturali, al benessere animale, allo sviluppo socio-economico delle comunità locali ed a contrastare l’insicurezza alimentare.  

1. FAO. 2023. Contribution of terrestrial animal source food to healthy diets for improved nutrition and health outcomes – An evidence and policy overview on the state of knowledge and gaps. Rome, FAO. https://doi.org/10.4060/cc3912en
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Allevamento bovino: intensivo o estensivo?
Sostenibilità
03/07/2023
3 min.
Sostenibilità

La narrazione oggi alla moda, veicolata dai media più o meno social, ci consegna un giudizio manicheo sul tipo di allevamento animale: intensivo cattivo, estensivo buono. Dove per intensivi si intendono allevamenti con animali maltrattati, stipati su superfici inadatte e in luoghi malsani, mentre quelli estensivi, per converso, si raffigurano con gli animali al pascolo (generalmente vacche all’alpeggio in splendide giornate di sole estivo) che alla nostra antropocentrica lettura sembrano “felici”. Sintetizzando, queste suggestioni ci consegnano le posizioni pregiudiziali per cui intensivo uguale prigione, estensivo uguale libertà.

In realtà, non è sempre vero che l’animale allevato all’aperto stia meglio di uno allevato in stalla, dal momento che l’allevamento al pascolo non è esente da criticità. Al vantaggio del maggior spa-zio si contrappongono problematiche connesse alla biosicurezza e al minor controllo sull’animale che questo allevamento comporta.

Prendiamo un animale in natura: certamente nel corso della sua vita (che in genere è molto breve, perché la mortalità dei giovani soggetti è più alta) incontrerà la fame, la sete, le malattie e la predazione. E un terrore continuo di essere sbranato, fatto sicuro se l’individuo è debilitato e sofferente per le cause suddette. Inoltre, un animale al pascolo non è protetto da parassiti e da agenti esterni che possono danneggiarlo, come i cambiamenti climatici, le intemperie e il freddo invernale. Risulta, quindi, chiaro come un’assenza quasi totale di controllo sulla vita dell’animale possa portare dei risvolti negativi.

Di contro l’allevamento in stalla garantisce all’animale disponibilità di cibo e acqua, un riparo sicuro dalle intemperie e permette all’allevatore di monitorare il suo stato di salute in tempo reale e di intervenire in caso di malattie.

Eventi

Natura

Allevamento

Fame

++

Sete

++

Malattie

++

Predazione

+++

Comportamento

++

+/-

Paura

+/-

Complesso

-5

+10

Tabella – Confronto fra eventi che occorrono a un animale in natura e in allevamento (i + sono punteggi positivi controbilanciati dai -).

 

L’allevamento bovino da carne è SEMI-NTENSIVO.

Nella realtà produttiva dell’allevamento bovino si può dire che l’allevamento ‘intensivo’ e quello estensivo, che sono vissuti dal consumatore come antitetici, in realtà sono spesso integrati e complementari tra loro. Questo perché, nelle prime fasi di vita del bovino, prendendo in considerazione la cosiddetta “linea vacca-vitello” in particolare durante la stagione riproduttiva, viene preferito l’allevamento “estensivo”. Il sistema “Intensivo o in stalla” invece è applicato nelle fasi più avanzate del ciclo produttivo, quando l’animale a partire dai 10 mesi, necessita di una dieta più ricca per sostenere il proprio accrescimento. Il grande vantaggio di questo sistema è di aumentare la biodiversità delle varie razze bovine e di migliorare l’integrazione fra uomo, animale e ambiente. In questo modo la carne bovina non è più un semplice prodotto alimentare, ma torna a essere l’espressione culturale di un territorio.

Non esiste, quindi, una tipologia di allevamento migliore in senso assoluto, ma deve essere effet-tuata una valutazione caso per caso per poter selezionare la soluzione più idonea.

Pulina G. (2019) - Carnipedia. Appunti per una piccola enciclopedia della carne.
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Razze bovine pregiate: conosciamole meglio
Sostenibilità
28/06/2023
4 min.
Sostenibilità

Le principali razze bovine sono Chianina, Marchigiana, Maremmana, Romagnola e Podolica.  

Conosciamo meglio queste razze! 

 

La Chianina è la terza razza italiana da carne per diffusione e, probabilmente, la più famosa nel mondo. Essa ha origini antichissime ed è allevata soprattutto in Umbria, Toscana e Lazio e, come la Marchigiana, era in origine una razza da lavoro che si è progressivamente specializzata nella produzione della carne. L’elemento distintivo della Chianina è soprattutto costituito dal suo gigantismo che la rende, probabilmente, la razza bovina più grande al mondo. Basti pensare che un maschio adulto può raggiungere 1700 Kg di peso e un’altezza di 200 centimetri al garrese. Dal punto di vista nutrizionale, la carne di Chianina è considerata la carne bovina più sana, magra e digeribile tra tutte le razze europee, grazie anche al suo ottimo rapporto tra acidi grassi saturi ed insaturi. 

 

La Marchigiana è la seconda razza italiana da carne per diffusione, allevata nella regione d’origine e lungo la dorsale appenninica verso il mezzogiorno. Come la Chianina, la Marchigiana era in origine una razza da lavoro, poi selezionata per la produzione della carne. Presenta caratteristiche morfologiche che la rendono simile alla Chianina: mantello bianco/grigio, stazza imponente e piccole corna. Gli arti sono corti, a favore di una più sviluppata massa muscolare. La carne marchigiana ha una significativa infiltrazione di grasso, il che la rende particolarmente gustosa. 

 

La Maremmana è diffusa in Toscana e nel Lazio. Come la Podolica, questa razza, più che specializzata da carne nel senso classico del termine, è considerata come razza rustica, adatta agli ambienti difficili. Ha infatti, una spiccata attitudine al pascolo che, considerata la zona di allevamento, avviene in pasturi che sorgono su substrati salini per l’antica presenza di aree paludose ormai bonificate. Si cibano di erbe spontanee che conferisce alla carne maremmana una sapidità davvero intensa. 

 

La Romagnola è la quarta razza italiana da carne, è diffusa nella regione di origine e, tra le razze podoliche, è quella che probabilmente presenta la migliore attitudine alla produzione della carne. Anche in questo caso si tratta di una razza originariamente da lavoro, per il quale era molto apprezzata, che successivamente si è specializzata nella produzione della carne. In comune con la Chianina ha alcune caratteristiche morfologiche come la dimensione ridotta della testa, gli arti sottili e il manto bianco in età adulta, ma non la mole. I bovini maschi adulti, infatti, arrivano ad un peso massimo di 1000-1200 Kg e un’altezza al garrese di circa 170 centimetri. Una caratteristica peculiare è un buon accrescimento naturale che non rende necessaria alcuna integrazione alimentare. La carne presenta una lieve marezzatura e una sapidità intensa. 

 

La Podolica deriva, probabilmente, il suo nome dalla zona di origine, la Podolia, situata nell’attuale Ucraina portata in Italia probabilmente nel 452 d.C. dagli Unni. E’ un animale rustico, con grande capacità di adattamento a terreni difficili, impervi, montuosi e collinari caratterizzato da un manto grigio. Le sue carni particolarmente gustose anche se non naturalmente morbide, hanno reso possibile un particolare impegno in merito alla valorizzazione della razza che è entrata a pieno titolo tra le razze italiane di pregio.  

 

Tre tra le razze sopra descritte, Chianina, Marchigiana e Romagnola, rientrano nella certificazione IGP del “vitellone bianco dell’appennino centrale”, che è ad oggi, l’unico marchio di qualità per le carni bovine fresche Italiane approvato dalla Comunità Europea. 

La denominazione di “Vitellone Bianco” deriva dal manto di questi bovini, appunto di colore bianco, caratteristica peculiare che permette ai bovini di ben tollerare le radiazioni solari tipiche degli ambienti pascolativi montuosi, sebbene queste tre razze siano allevate principalmente in stalla, per via delle loro elevate esigenze nutritive che ne limitano l’adattabilità ai pascoli difficili di montagna. 

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Carne rossa e salute: come cuocerla al meglio
Nutrizione
16/06/2023
2 min.
Nutrizione

La carne rossa è un’importante fonte di proteine e di nutrienti essenziali, tra cui ferro, zinco e vitamina B12 

Per questo motivo è importante integrare correttamente questo alimento dalla dieta: un aspetto che ha un impatto sulla salute che spesso viene trascurato è la modalità di cottura della carne. 

Le alte temperature raggiunte durante la cottura possono favorire la produzione di sostanze nocive quali le ammine eterocicliche (o HCA, dall’inglese HeteroCyclic Amine) e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).  

Pertanto, al fine di consumare carne riducendo i rischi derivanti da alcune tipologie di cottura, è bene prestare la giusta attenzione alle modalità di cottura e limitare a rare occasioni le modalità di cottura più “aggressive” (temperature superiori a 150-180°C, tempi prolungati, esposizione diretta della carne alla fiamma) come il barbecue e la frittura, riducendo in maniera significativa l’apporto nella dieta di molecole ad attività potenzialmente nociva. 

Allo scopo di abbreviare i tempi di cottura sulla griglia, è consigliabile ad esempio effettuare una precottura nel forno. Altra accortezza: durante la cottura al barbecue, andrebbero puliti immediatamente i gocciolamenti di grasso e la carne dovrebbe essere girata frequentemente per evitare che si bruci, oppure cuocere la carne avvolta in fogli di alluminio, limitando il rischio di carbonizzazione.  

Utile anche bilanciare il pasto con verdure ricche in carotenoidi e antiossidanti, quali pomodori e carote. 

Ultima pratica utile: la marinatura. Marinare la carne prima di sottoporla a cottura utilizzando olio di oliva, vino, succo di limone, aglio e spezie può contrastare efficacemente la formazione di composti nocivi quali le ammine eterocicliche. 

Via libera, invece, alle modalità di cottura più delicate quali la cottura al vapore, la stufatura, la bollitura

McAfee AJ, McSorley EM, Cuskelly GJ, Moss BW, Wallace JM, Bonham MP, et al. (2009). Red meat consumption: an overview of the risks and benefits. Meat Science. 84(1): 1-13. doi: 10.1016/j.meatsci.2009.08.029.

WHO-IARC. (2015). IARC Monographs evaluate consumption of red meat and processed meat, 26 ottobre 2015.

Magkos F, Rasmussen SI, Hjorth MF, Asping S, Rosenkrans MI, Sjödin AM, et al. (2022). Unprocessed red meat in the dietary treatment of obesity: a randomized controlled trial of beef supplementation during weight maintenance after successful weight loss. American Journal of Clinical Nutrition. 116(6): 1820-1830. doi: 10.1093/ajcn/nqac152.

Lee JG, Kim SY, Moon JS, Kim SH, Kang DH, Yoon HJ. (2015). Effects of grilling procedures on levels of polycyclic aromatic hydrocarbons in grilled meats. Food Chemistry. 199: 632-638. doi: 10.1016/j.foodchem.2015.12.017.
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Simposio internazionale COW IS VEG – I videointerventi dei relatori
Sostenibilità
03/10/2022
2 min.
Sostenibilità

Durante la sessione “CARNE ROSSA TRA SOSTENIBILITÀ, NUTRIZIONE E FUTURO”, un parterre di esperti internazionali ha presentato dati inediti per rivelare il reale impatto della carne rossa su ambiente e nutrizione, affrontando il tema sotto diversi punti di vista, tutti di grande attualità: dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, ai cambiamenti climatici, alla malnutrizione, passando per l’evoluzione dell’uomo.

 

Il contributo globale della zootecnia agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: opportunità e sfide

ANNE MOTTET, Livestock Development Officer, United Nations Food and Agriculture Organization – FAO

 

Cambiamento climatico e allevamenti: come la gestione del metano può rendere il bovino parte della soluzione

FRANK MITLOEHNER, Professore e Air Quality Extension Specialist, UC Davis –  USA

 

Dieta ed evoluzione: come il consumo di carne ci ha resi umani

MIKI BEN-DOR, Ricercatore in nutrizione e diete ancestrali, Dipartimento di Archeologia, Tel Aviv University – Israele

 

Mangiare meno carne non salverà il pianeta: l’importanza di una corretta nutrizione

FREDERIC LEROY, Professore nel campo della Scienza dell’Alimentazione, Vrije Universiteit Brussel – Belgio

 

Si è parlato inoltre del VALORE SOCIALE ED ECONOMICO DEL SETTORE BOVINO IN ITALIA, con GIUSEPPE PULINA, Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità delle produzioni animali presso l’Università di Sassari, che ha presentato nuovi dati per mostrare la distintività dell’allevamento bovino italiano, in particolare in termini di impatto ambientale.

 

Allargando lo sguardo a livello più globale, il prof. Pulina ha infine evidenziato come la zootecnia in Europa sia estremamente più virtuosa che altrove, e il termine “intensivo” acquisisce un significato del tutto nuovo e di valore.

 

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Efficienza e sostenibilità: il settore della carne bovina parte della soluzione per vincere la sfida globale dell’alimentazione
Sostenibilità
30/09/2022
7 min.
Sostenibilità

Il Simposio Scientifico Internazionale “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile” presenta dati inediti che rivelano il reale impatto della carne rossa su ambiente e nutrizione.

 

Roma, 29 settembre 2022 –  La sfida globale del settore agroalimentare per i prossimi anni consisterà nel garantire cibo sicuro e prodotto in maniera sostenibile a una popolazione crescente, con le previsioni che parlano di 9,7 miliardi di persone entro il 2050. Se per qualcuno la soluzione per conciliare disponibilità alimentare e ambiente dovrebbe essere smettere di produrre e consumare carne, secondo le stime FAO, invece, in uno scenario sostenibile, sarà necessario garantire un aumento medio del 30% della disponibilità di alimenti di origine animale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (Fonte: FAO. 2018. The future of food and agriculture). E proprio sulla sinergia fra nuove sfide della food security e sostenibilità, si è tenuto oggi a Roma il simposio “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile” organizzato da Assocarni in collaborazione con Coldiretti, durante il quale un parterre di scienziati internazionali si è confrontato su questo tema.

 

In particolare sull’importanza di guardare al sistema zootecnico sotto differenti aspetti – ambientale, ma anche economico e sociale – è intervenuto Maurizio Martina, Vicedirettore Generale della FAO, che ha sottolineato l’apporto di queste filiere “alla grande sfida della sostenibilità” e ha ribadito il valore di un approccio scientifico e ragionato al tema ricordando che nel mondo 1 miliardo e 300 milioni di persone vivono grazie al lavoro in zootecnia. E proprio nell’ottica di considerare le filiere zootecniche come parte di un nuovo equilibrio sostenibile, il Vicedirettore generale della Fao ha detto: “Sono molte le questioni importanti sui cui si può lavorare insieme: contro le emissioni, sulla qualità dei mangimi, sull’utilizzo dei terreni e dei suoli, per la selezione delle razze, sulla gestione dei reflui, per la circolarità integrale dei sistemi zootecnici. Temi concreti che aiutano a spostare in avanti l’equilibrio per renderlo sempre più sostenibile e più avanzato” E ha concluso Martina “In questo senso non abbiamo bisogno di approcci ideologici, ma di buone pratiche che ci facciano lavorare insieme”.

 

L’agricoltura, di cui la zootecnia è parte integrante, ha già risposto con i fatti sulla capacità di aumentare la produzione riducendo gli impatti: negli ultimi 30 anni il comparto agricolo ha sfamato quasi 2,5 miliardi di persone in più riducendo le emissioni pro-capite di circa il 20% (Fonte: Our World in Data).

Sul fronte del consumo di acqua e di suolo e della cosiddetta feed vs food competition, ad esempio, in questi anni sono emersi dati importanti capaci di fare chiarezza in un panorama informativo spesso inquinato da dannose fake news.

 

In un contesto come quello che si sta delineando – aumento della popolazione, aumento del reddito medio e contestuale aumento della richiesta di alimenti di origine animale –  la capacità dei ruminanti di convertire erba e vegetali ricchi in cellulosa in proteine, senza entrare in competizione con l’uomo, è un’opportunità unica per il settore zootecnico di contribuire alla food security con proteine ad alto valore biologico. Ma non solo, i ruminati si mostrano estremamente efficienti nella conversione delle proteine vegetali in proteine animali. Su questo Anne Mottet, Livestock Development Officer presso la FAO, intervenuta ai lavori della mattinata, ha affermato che “L’intero settore zootecnico mondiale consuma circa un terzo dei cereali che produciamo. Ma questa quota può essere ridotta. In particolare, i ruminati hanno un più efficiente indice di conversione proteica: sono in grado di produrre un chilo di proteine assumendo solo seicento grammi di proteine vegetali.  Anche per quanto riguarda il land use, il settore zootecnico globale utilizza circa 2,5 miliardi di ettari di suolo, il 77% dei quali sono praterie, per gran parte non coltivabili e quindi utilizzabili solo dagli animali al pascolo, che se riconvertite a colture creerebbero danni ai servizi ecosistemici.”

 

Se oggi la produzione e il consumo di carne sono dunque al centro di un dibattito pubblico spesso fortemente polarizzato che influenza la lettura dei dati riguardanti la salute e gli impatti ambientali, emergono in parallelo dati più che confortanti, che vedono gli allevamenti bovini come parte integrata della soluzione climatica. Come spiega il Prof. Frank Mitloehner, Air Quality specialist in Cooperative Extension presso il Dipartimento di Scienze Animali della UC Davis, “I bovini sono spesso etichettati erroneamente come un problema climatico, mentre in realtà rappresentano un’opportunità: gestendo al meglio le emissioni, soprattutto di metano, i bovini diventano parte della soluzione climatica. In alcune regioni, l’allevamento può raggiungere la neutralità climatica – il punto in cui non comporta ulteriore riscaldamento climatico – con riduzioni fattibili di metano, il tutto fornendo al contempo alimenti altamente nutrienti”.

 

Uno studio più attento delle emissioni di gas serra fa emergere, infatti, come anidride carbonica e metano non abbiano la stessa permanenza in atmosfera e lo stesso impatto sul clima. In particolare, il metano emesso naturalmente dai bovini, viene scomposto in atmosfera e riconvertito in CO2 nel giro di dieci anni per poi essere riassorbito dalle piante con la fotosintesi, rientrando nel naturale ciclo biogenico del carbonio. Invece la CO2 prodotta dai combustibili fossili si accumula e permane in atmosfera potenzialmente per mille anni. Agendo, quindi, sul contenimento delle emissioni di metano dei bovini si opererebbe un effettivo sequestro di carbonio in atmosfera, rendendo di fatto la zootecnia un settore attivo nella lotta al cambiamento climatico, in opposizione a quanto si ritiene erroneamente oggi.

 

La carne, inoltre, continua a rivestire un’importanza determinante dal punto di vista nutrizionale: evitare o ridurre eccessivamente l’assunzione di carne può rendere le diete meno equilibrate soprattutto per i giovani e le fasce di popolazione più fragili, tra cui le donne in età riproduttiva, gli anziani e le persone affette da patologie.

 

La carne, infatti, è un’importante fonte di proteine di alta qualità e di vari micronutrienti di cui si rilevano carenze a livello globale (anche presso gran parte delle popolazioni occidentali) come ferro, zinco e vitamina B12. Come riportato da Frederic Leroy, Professore nel campo della Scienza dell’Alimentazione presso la Vrije Universiteit Brussel, e relatore al simposio, “Nonostante si tratti dell’alimento che ha accompagnato l’evoluzione della specie umana costituito da proteine di qualità e micronutrienti altamente biodisponibili, l’assunzione di molti dei quali è peraltro limitata da parte della popolazione, spesso la carne viene ingiustamente inquadrata come una scelta alimentare non salutare. Al contrario, la carne dovrebbe essere considerata un alimento chiave per migliorare lo stato nutrizionale nell’ambito di una dieta sana, soprattutto per le popolazioni con esigenze nutrizionali elevate. Prescindere dal ruolo nutrizionale degli alimenti nel formulare raccomandazioni per un consumo meno impattante per l’ambiente rappresenta infatti un grave errore”, continua Leroy: “è assolutamente fondamentale tenere in considerazione e incorporare tali vantaggi nutrizionali anche nelle valutazioni di carattere ambientale, per consentire confronti e valutazioni equi”.

 

La valenza nutrizionale della carne rappresenta inoltre un importante retaggio evoluzionistico che caratterizza la nostra specie da oltre due milioni di anni. “Le evidenze circa il metabolismo indicano che gli esseri umani, evolutisi nel Paleolitico come ‘ipercarnivori’, sono ancora adattati a una dieta in cui i lipidi e le proteine, piuttosto che i carboidrati, offrono un contributo importante all’approvvigionamento energetico” ha dichiarato Miki Ben-Dor, Ricercatore in nutrizione e diete ancestrali presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv.

 

Alla luce di queste riflessioni, emerge chiaramente l’importanza di guardare con fiducia al settore zootecnico e alle sue evoluzioni in grado di contribuire positivamente all’auspicata neutralità climatica futura, così come è necessario cominciare a guardare ai bovini come a una risposta concreta e sostenibile alla crescente richiesta di proteine di alta qualità da parte della popolazione globale.

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Sostenibilità e imprese zootecniche: quali sono le recenti strategie green adottate in Italia?
Sostenibilità
15/09/2022
3 min.
Sostenibilità

Nonostante il tema della sostenibilità nel settore delle carni sia sempre più di interesse per i consumatori e i policy-maker, le ricerche sul tema si sono finora concentrate principalmente su analisi e indagini sulla sostenibilità ambientale della filiera nel suo complesso, fornendo invece poche informazioni sulle scelte che le singole imprese hanno compiuto per integrare il concetto di sostenibilità nelle loro attività.

Per colmare questa lacuna, ALTIS – Università Cattolica, in collaborazione con Progetto VIS – Valore Impresa Sostenibile e OPERA – Osservatorio europeo per l’agricoltura sostenibile, ha analizzato strategie e politiche ambientali, sociali e di governance attuate dalle imprese della filiera delle carni italiana, al fine di evidenziare e mappare i progressi sul territorio nazionale (1).

 

Allevamento e trasformazione: la filiera italiana e le nuove esigenze

Nell’esaminare le caratteristiche della filiera delle carni sono 2 le fasi di maggior interesse dal punto di vista analitico: allevamento e trasformazione.

Una delle prime caratteristiche che contraddistingue l’allevamento nazionale è l’elevatissimo standard di benessere animale, testimoniato anche dai diversi accordi di filiera e dalle nuove certificazioni esistenti. La fase di trasformazione negli anni si è allineata ai progressi fatti in termini di innovazione tecnologica, ottimizzando le produzioni, i controlli, i sistemi di tracciabilità e di conseguenza la sicurezza alimentare. In generale, dunque, il settore delle carni negli ultimi anni ha iniziato ad ascoltare le diverse esigenze: “bottom-up”, dai consumatori sempre più attenti a benessere e sicurezza e “top-down”, dalle normative nazionali e internazionali quali, ad esempio, il Green Deal e la strategia Farm to fork. Circa le scelte dei consumatori, è interessante notare come siano driver di sostenibilità davvero rilevanti: lo sviluppo verso modelli di produzione meno impattanti rappresenta un’opportunità di crescita per le imprese zootecniche per essere competitive sul mercato, considerando che una recente pubblicazione della Commissione Europea ha proprio evidenziato come i consumatori si dichiarino disposti a pagare prezzi più alti per prodotti con alti standard di benessere animale supportati da informazioni chiare e trasparenti (1).

 

Imprese zootecniche italiane e sostenibilità:  qual è la situazione?

Per valutare la sostenibilità d’impresa è stata considerata sia l’esistenza di un approccio interno e strutturato alla sostenibilità (strumenti di comunicazione, rendicontazione, bilanci, report…) sia l’effettiva presenza delle pratiche adottate nel rispetto delle tematiche di sostenibilità sociale, ambientale e di governance rilevanti per il settore delle carni, secondo una matrice di materialità settoriale che ha permesso di affidare un punteggio a ciascuna area (2,3).

L’indagine ha mostrato che attualmente, in Italia, solo 1 impresa su 3 considera la sostenibilità un asset strategico e quasi il 70% delle aziende che portano avanti iniziative di sostenibilità lo ha fatto in modo frammentario. Le imprese che si sono distinte sono state le grandi imprese, strutturate e capaci di affrontare i cambiamenti, a differenza delle credenze collettive che associano spesso il concetto di sostenibilità alle piccole imprese. Per approfondire ulteriormente questa tematica i risultati della ricerca sono stati presentati via webinar da un panel di esperti, tra cui il  Prof. Giuseppe Pulina, Presidente di Carni Sostenibili.

[link al video]

 

  1. Unicatt, Altis, Vis, Opera. (2022). La sostenibilità nel settore delle carni e dei salumi: un focus sulle imprese italiane Presentazione del report di ricerca
  2. Dinh, T., Husmann, A., & Melloni, G. (2022). Corporate Sustainability Reporting and Performance in Europe: A Scoping Review. Available at SSRN.
  3. Molteni, M. (2007). Gli stadi di sviluppo della CSR nella strategia aziendale. Impresa Progetto-Electronic Journal of Management (2).
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Redazione
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Il bovino, un passato e un futuro di successo
Sostenibilità
26/07/2022
4 min.
Sostenibilità

Quando l’uomo ha fatto i suoi primi passi sulla terra, circa 4 milioni di anni fa, il bovino c’era già. Assai diverso da quello di oggi, certo, come diversi da noi erano gli australopitechi dai quali si fa iniziare il percorso evolutivo dell’uomo. Tozzo, resistente, capace di sopravvivere in condizioni estreme, l’antico Bos planifrons delle origini evolverà durante il pleistocene nell’Uro o Bos taurus primigenius, progenitore dei bovini.

Presto si rivelerà all’uomo come una fonte di cibo prezioso, ricco di quelle proteine delle quali il cervello dell’Homo abilis e poi dell’Homo erectus ha bisogno per la sua crescita. Relativamente facile da cacciare, il Bos primigenius non si limitava a fornire cibo, ma la sua pelle si trasformava in indumenti per proteggersi dal freddo, le sue grandi corna cave diventavano contenitori o si trasformavano in arnesi da lavoro.

Grazie ai suoi quattro stomaci, che contraddistinguono tutti i ruminanti, il bovino può trarre sostentamento da vegetali anche poveri di nutrienti. Per merito della particolare fisiologia del suo apparato digerente, è praticamente indipendente dalle fonti alimentari delle quali dispone. Tanto da essere in grado di sintetizzare autonomamente aminoacidi e vitamine che non sono presenti nel cibo che assume. Un compito impossibile per chi di stomaci ne possiede uno solo, come nel caso dell’uomo.

Non è un caso se fra i perissodattili del Cenozoico, ricco di vegetazione, i ruminanti resistettero meglio di altri erbivori e tuttora sono rappresentati da oltre 70 generi, fra i quali il bovino del quale ci occupiamo. Una storia di successo, che prelude a un futuro di successo, ma di questo parleremo poi.

Dunque, dalla notte dei tempi il bovino ha continuato ad aiutare l’uomo, assumendosi il compito di mangiare erba e vegetali (indigeribili per l’uomo) trasformandoli in proteine, energia e vitamine.

Quando l’uomo cacciatore divenne uomo agricoltore (in parte costretto dagli eventi, come la mancanza di prede), non tardò a comprendere che il bovino non era solo carne.

Il latte che fa crescere i vitelli è un prezioso alimento, quasi importante come la carne. Ma il latte non si può “cacciare”, per ottenerlo occorre “stringere un patto” con il bovino, assicurandogli in cambio cibo e protezione. È l’inizio della domesticazione e della collaborazione fra uomo e bovino che continua anche oggi.

Con la domesticazione, che gli storici fanno risalire a circa diecimila anni fa, il bovino si trasforma da riserva di cibo a forza motrice per spingere il primo rudimentale aratro, il cui vomere era prima in legno e poi in ferro. Il bovino diventa così un importante protagonista della storia dell’uomo. Emblema di fertilità il toro che feconda la terra, animale sacrificale per le divinità, simbolo di forza e coraggio, a volte eretto egli stesso a divinità.

Molte le raffigurazioni che così lo rappresentano millenni avanti Cristo. Steli egizie, ceramiche greche, affreschi pompeiani, reperti archeologici fra Asia, Africa ed Europa, dove il bovino si è più diffuso, sono lì a testimoniarne ruolo e importanza.

Dunque, non solo carne e latte, ma anche lavoro, è quanto si è chiesto al bovino. Nascono così, guidate dall’uomo, le razze bovine a triplice attitudine che hanno popolato le nostre campagne sino all’avvento, agli inizi del secolo scorso, dei primi trattori.

Incontriamo i progenitori del gigante toscano, la razza Chianina, del muscoloso Piemontese e della frugale Podolica, e delle tante altre razze che confermano la capacità del bovino di adattarsi al meglio all’ambiente che lo ospita.

Non dovendo più assolvere al compito di forza motrice, oggi il bovino può fare al meglio ciò che gli è più congeniale, produrre carne e latte. E lo può fare con la stessa efficienza che gli ha consentito di superare indenne una storia lunga milioni di anni. Ha aiutato l’uomo ad essere come lo conosciamo oggi e ha le carte in regola per accompagnarlo nelle sfide del futuro, prima fra tutte quella alimentare.

Ci attende un mondo sempre più popolato (le proiezioni indicano in 9,7 miliardi la popolazione mondiale nel 2050) e non sarà facile per la stessa terra di ieri sfamare l’uomo di domani.

Il bovino, che non compete con l’uomo in quanto a cibo, si rivelerà prezioso per fornirci proteine nobili, energia e vitamine. E se in un lontanissimo passato ci dava cibo e un riparo dal freddo con la sua pelle, domani potrebbe scaldarci con i frutti del suo metabolismo. Trasformati in biogas e biometano.

A cura di
Angelo Gamberini
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Quanto impatta davvero l’allevamento in Italia?
Sostenibilità
07/07/2022
3 min.
Sostenibilità

Il dibattito sull’impatto ambientale delle produzioni agroalimentari e zootecniche continua ormai da anni, con la zootecnia al centro come massimo esponente e i bovini come maggiori responsabili del cambiamento climatico. Tuttavia, diversamente dalle fuorvianti informazioni che si trovano sul web, nel suo complesso la filiera delle carni bovine non ha un elevato impatto in termini di emissioni di anidride carbonica (CO2), ma anzi sembra partecipare al raggiungimento della neutralità climatica (1,2).

Quando si valuta l’impatto delle emissioni di gas a effetto serra che hanno le attività umane, è importante considerare tutti gli elementi che costituiscono l’attività. In particolare, per quel che riguarda l’allevamento bovino, è necessario considerare tanto la fase di allevamento quanto le fasi precedenti, come quella della produzione degli input agricoli, necessari ad assicurare ai bovini un’alimentazione corretta.

Le piante presenti nei terreni destinati al pascolo e quelle coltivate appositamente per l’alimentazione bovina, infatti, presentano un potenziale di riduzione delle emissioni di carbonio davvero notevole e sottovalutato. Grazie alla fotosintesi clorofilliana, le piante crescono assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno e, in questo modo, sottraggono carbonio all’atmosfera (processo noto come fissazione del carbonio) (1) e partecipano attivamente al contrasto dell’effetto serra (3).

In Italia, ad esempio, considerando le emissioni prodotte dagli animali e confrontandole con la capacità delle produzioni di mangimi di assorbire CO2, emerge chiaro come la filiera zootecnica, nel suo complesso, non contribuisca all’aumento dei gas a effetto serra in atmosfera ma anzi si bilanci da sola. Questa caratteristica è nota come carbon neutrality e viene descritta come la capacità di riuscire a compensare l’impatto dei gas tra una fase e l’altra della catena produttiva arrivando ad avere emissioni nette zero di CO2 (2).

Una volta chiarito questo concetto è importante capire come quantificare in numeri le emissioni di CO2.
Nella maggior parte dei casi viene usata la carbon footprint, una misura che esprime la totalità delle emissioni di gas associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, un’organizzazione o un servizio (4). Tutti i gas che hanno un effetto sul cambiamento in atmosfera, grazie a questa misura, vengono convertiti in CO2 equivalente (CO2eq) così da poter ottenere dei valori confrontabili tra loro e quantificare numericamente le emissioni.

In Italia, complessivamente, considerando la carbon footprint, la zootecnia è responsabile di circa 66.200.000 tonnellate di CO2eq mentre i vegetali coltivati sottraggono all’atmosfera circa 73.300.000 tonnellate di CO2, con una differenza tra i valori emissione/sottrazione superiore di circa il 10% (raggiungendo così la neutralizzazione delle emissioni). In altre parole, ogni 100 kg di CO2 prodotta dall’attività zootecnica genera 110 kg di CO2 di stock nella biomassa, il che dovrebbe aiutare a compensare non solo la CO2 prodotta dall’allevamento ma anche da altre attività umane (1).

  1. De Vivo, R., & Zicarelli, L. (2021). Influence of carbon fixation on the mitigation of greenhouse gas emissions from livestock activities in Italy and the achievement of carbon neutrality. Translational Animal Science, 5(3), txab042.
    2. IPCC. (2018). Annex I: Glossary [Matthews, J.B.R. (ed.)]. In: Global Warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty.
    3. Ciccarese, L., & Kloehn, S. (2010). La capacità fissativa di carbonio nei prodotti legnosi: una stima per l’Italia. Agriregionieuropa, 6, 21.
    4. Ministero della Transizione Ecologica (2022). Cos’è la «carbon footprint»? https://www.mite.gov.it/pagina/cose-la-carbon-footprint

 

A cura di
Giuseppe Pulina
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Carbon footprint e filiera delle carni italiana: tra le produzioni animali più virtuose al mondo
Sostenibilità
02/06/2022
3 min.
Sostenibilità

Per far fronte all’aumento mondiale della domanda di prodotti di origine animale e rispettare le emergenti necessità ambientali, il settore zootecnico sta re-ingegnerizzando i suoi processi produttivi, con l’obiettivo di ridurre le emissioni, limitare i consumi di acqua, migliorare il benessere degli animali e degli operatori di settore, mantenendo comunque alti gli standard di sicurezza alimentare e sostenibilità nella sua triplice accezione (ambientale, sociale ed economica).

Le filiere delle carni, infatti, dovranno garantire dei prodotti accessibili a tutte le fasce di reddito senza dimenticare l’importanza di preservare le tradizioni locali e il paesaggio rurale che le ospita.
In questo l’Italia, negli ultimi anni, si è già dimostrata un Paese vincente, soprattutto per i progressi fatti nella filiera delle carni bovine circa le emissioni in atmosfera (1).

Riduzione delle emissioni: Quale impronta di carbonio ha l’allevamento bovino in Italia?

Dal confronto effettuato tra l’impronta di carbonio della produzione delle carni bovine italiane rispetto alla media mondiale (2), emerge chiaro come le emissioni del settore bovino italiano siano meno della metà rispetto alla media delle emissioni degli altri Paesi (10,4 vs 25,3 kg di CO2 per kg di carne), ponendo il nostro Paese fra i più virtuosi al mondo (1).

Oltre a questo dato incoraggiante è interessante notare anche come, spesso, nella valutazione della filiera bovina, venga sottovalutato il potere di mitigazione delle emissioni operato dalle colture foraggere destinate all’alimentazione degli animali che, in quanto vegetali con capacità fotosintetiche, hanno un potere di fissazione di carbonio in grado di compensare le emissioni di gas serra delle fasi successive, portando il sistema nel suo complesso a bilanciarsi e partecipare alla cosiddetta carbon neutrality (3).

Questo obiettivo, oltretutto, dovrebbe basarsi su una distinzione più attenta anche circa i diversi gas a effetto serra, poiché tra loro presentano un impatto differente in termini di emissioni e permanenza in atmosfera. Ma cosa significa?

Le emissioni di gas a effetto serra sono convenzionalmente espresse in peso di CO2 equivalente (CO2eq) secondo il potenziale di riscaldamento globale (GWP), un valore attribuito ai diversi gas da standard fissi (4). Per quelli emessi dal settore dell’agricoltura e dell’allevamento, oltre all’anidride carbonica (CO2), vengono considerati determinanti anche il metano (CH4), che equivale a 25 CO2eq, e il protossido di azoto (N2O), che equivale a 298 CO2eq.

Questi valori fissi, tuttavia, non considerano la differente emivita di questi gas in atmosfera, ovvero il tempo necessario affinché la concentrazione di una sostanza si riduca a metà di quella iniziale.
A tal proposito, CO2 e N2O, permangono in atmosfera per diverse centinaia di anni, mentre il metano, principale gas climalterante attribuito all’allevamento, ha un’emivita di soli 8,6 anni, un tempo non sufficiente affinché il gas si accumuli in atmosfera e pertanto non in grado di contribuire realmente al riscaldamento globale.
Considerando così il perdurare del gas in atmosfera, dal confronto tra le emissioni di CH4 del sistema italiano negli ultimi 30 anni (5), è dunque facile capire quanto in realtà questo dato presenti un tasso di riduzione tale (-0,66%), da partecipare addirittura alla soluzione del problema del riscaldamento globale (1).

  1. Pulina, G.La sostenibilità della produzione delle carni in Italia. Giuseppe Pulina
  2. FAO, (2021). Global Livestock Environmental Assessment Model (GLEAM). https://www.fao.org/gleam/en/
  3. De Vivo, R., & Zicarelli, L. (2021). Influence of carbon fixation on the mitigation of greenhouse gas emissions from livestock activities in Italy and the achievement of carbon neutrality. Translational Animal Science, 5(3), txab042.
  4. IPCC, 2019. Climate Change and Land. https://www.ipcc.ch/srccl/.
  5. ISPRA, 2021. Italian greenhouse gas inventory – 1990-2019. ISPRA, Rapporti 341/21. ISBN 978-88-448-10467.
A cura di
Giuseppe Pulina