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Sous-vide: la scienza nella cottura della carne
Cucina
31/07/2023
2 min.
Cucina

Un metodo di cottura facile da eseguire che dà risultati precisi e consistenti.
Questi sono i principali motivi della diffusione della cottura sous-vide (o sottovuoto) non solo nelle cucine dei ristoranti ma anche in quelle domestiche

Un metodo innovativo

La cottura sous vide si basa sul principio di utilizzare il calore controllato per cucinare gli alimenti in modo uniforme. Il termine “sous vide” deriva dal francese e significa “sotto vuoto”. Il processo prevede il sottovuoto dei cibi in sacchetti ermetici e la cottura a temperature costanti e controllate in un bagno d’acqua(1).

Massima precisione

La chiave di questo metodo di cottura risiede nella precisione termica(1). Utilizzando un dispositivo di cottura sous vide, comunemente chiamato “Roner”, è possibile impostare una temperatura specifica con un elevato livello di precisione anche per le apparecchiature domestiche. Questo permette di raggiungere una cottura uniforme della carne, eliminando il rischio di surriscaldamento o sottocottura.

Con effetti sorprendenti sulla carne

La cottura sous vide può produrre carni straordinariamente tenere e succose(2). A differenza dei metodi di cottura tradizionali, che spesso comportano temperature elevate che possono asciugare la carne, la cottura sous vide permette di conservare i liquidi e la morbidezza naturale della carne. Inoltre, grazie alla precisione termica, è possibile ottenere una cottura uniforme da bordo a bordo, eliminando la possibilità di zone troppo o troppo poco cotte.

La cottura sous vide ha anche un impatto sui processi enzimatici che avvengono nella carne. Durante la cottura, le proteine muscolari si denaturano, rilasciando enzimi che aiutano a scomporre i tessuti connettivi. Questo porta a una maggiore tenerezza e una texture più morbida nella carne.

Per ottenere un risultato perfetto sarà però necessaria una veloce rosolatura ad alte temperature per consentire il verificarsi della reazione di Maillard e la formazione della saporita “crosticina” sulla superficie della carne.

E maggiore sicurezza

La cottura sous vide offre anche vantaggi in termini di sicurezza alimentare(3). Poiché la carne viene sigillata ermeticamente in sacchetti, il rischio di contaminazione da batteri patogeni è ridotto al minimo. Inoltre, la cottura a temperature specifiche e controllate aiuta a garantire la distruzione dei batteri nocivi, assicurando una carne sicura da consumare.

(1) Baldwin, D. E. (2012, January). Sous vide cooking: A review. International Journal of Gastronomy and Food Science, 1(1), 15–30. https://doi.org/10.1016/j.ijgfs.2011.11.002

(2) Gil, M., Rudy, M., Stanisławczyk, R., & Duma-Kocan, P. (2022, October 27). Effect of Traditional Cooking and Sous Vide Heat Treatment, Cold Storage Time and Muscle on Physicochemical and Sensory Properties of Beef Meat. Molecules, 27(21), 7307. https://doi.org/10.3390/molecules27217307

(3) Onyeaka, H., Nwabor, O., Jang, S., Obileke, K., Hart, A., Anumudu, C., & Miri, T. (2022, March 14). Sous vide processing: a viable approach for the assurance of microbial food safety. Journal of the Science of Food and Agriculture, 102(9), 3503–3512. https://doi.org/10.1002/jsfa.11836
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Redazione
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Frollatura: cos’è e quali sono i suoi benefici
Cucina
11/07/2023
3 min.
Cucina

Vi è mai capitato, in macelleria o al supermercato, di vedere dei grossi pezzi di carne con una superficie secca e annerita? Ecco! Quella è carne “frollata”.   

Il trattamento di frollatura ha lo scopo di migliorare le caratteristiche organolettiche delle carni. Si tratta di un processo di “maturazione controllata” basato su una prolungata conservazione in particolari celle frigo, che consente ai naturali enzimi contenuti nella carne di effettuare la proteolisi del collagene e delle altre proteine muscolari, con effetti di miglioramento delle caratteristiche di tenerezza e sapore. Il trattamento di frollatura richiede tempi più lunghi e tecnologie specifiche rispetto alla produzione ordinaria, in grado di assicurare il controllo costante di alcuni parametri come temperatura, umidità e ventilazione delle celle di conservazione. 

Due strade per ottenere risultati simili  

Questo processo può avvenire a secco (dry-aging) o seguendo la tecnica “umida” (wet-aging).   

Il primo caso prevede che i tagli di carne vengano maturati per almeno 15 giorni prima della commercializzazione ad una temperatura compresa tra 0,5° e + 3 C°, in condizioni di bassa umidità e alta ventilazione. Questa tecnica è indicata per tagli con una consistente copertura di grasso e una buona marezzatura (distribuzione di grasso tra le fibre muscolari) ed è anche quella più usata e diffusa in Italia.  

Per tagli più magri invece è sicuramente preferibile la tecnica del wet-aging. Questo processo prevede che le carni siano confezionate sottovuoto e conservate in celle frigorifero tradizionali. Anche in questo caso il processo può durare circa 15 – 30 giorni. 

Carne tenera e ricca di gusto   

In tutti e due i casi il risultato è un marcato intenerimento della carne che risulta anche più succulenta e digeribile. 

Durante la maturazione inoltre, il rilascio di peptidi e amminoacidi favorisce lo sviluppo di aromi complessi e gradevoli che contribuiscono a rendere la carne frollata generalmente parecchio più saporita. Per questo motivo consigliamo a chi si avvicina per la prima volta a questo tipo di prodotti di scegliere carni con un periodo di frollatura relativamente breve per abituarsi al suo gusto intenso.   

 Ma in totale sicurezza  

L’aspetto poco invitante della parte più esterna del taglio non deve spaventare. L’annerimento, che avviene nel dry-aging, è dovuto ad un mix di perdita di liquidi e ossidazione degli strati più esterni della carne ma basta eliminare un paio di millimetri per ritrovare un bellissimo colore rosso acceso.   

Secondo un recente parere dell’EFSA(1) (European Food Safety Administration) inoltre, consumare carne frollata non comporta alcun rischio e, dal punto di vista della sicurezza alimentare, questi prodotti non hanno nulla da invidiare alla carne fresca.   

1)EFSA BIOHAZ Panel (EFSA Panel on Biological Hazards), Koutsoumanis K.,Allende A., Alvarez-Ord ó ñ ez A., Bover-Cid S., Chemaly M., De Cesare A., Herman L., Hilbert F., Lindqvist R.,Nauta M., Peixe L., Ru G., Simmons M., Skandamis P., Suffredini E., Blagojevic B., Van Damme I., Hempen M., Messens W. and Bolton D., 2023. (2023), Scientific Opinion on the Microbiological Safety of Aged Meat, EFSA Journal 2023; 21(1):7745, 101 pp.https://doi.org/10.2903/j.efsa.2023.7745
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Redazione
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Carne rossa e dieta dimagrante? Sì grazie!
Nutrizione
21/06/2023
4 min.
Nutrizione

Tutti parlano di diete in Italia, una nazione dove le statistiche sul sovrappeso e l’obesità oggigiorno sono preoccupanti. Purtroppo, non ci sono solo gli esperti che parlano a riguardo, ma anche coloro che millantano di esserlo, generando confusione in un mondo dove i falsi miti alimentari sono all’ordine del giorno. Ed è così che dilagano le diete più strane, quelle che non hanno alcun fondamento scientifico. Si cerca sempre una scorciatoia, un alimento miracoloso che faccia dimagrire o un alimento “cattivo” da condannare, un’intolleranza infondata da cercare come causa dell’aumento di peso, che molto probabilmente è dato “solo” da un’alimentazione sregolata ed uno stile di vita sedentario.

Allora sarebbe più semplice includere un po’ di tutto nella propria alimentazione, favorendo gli alimenti freschi (cereali, verdure, legumi, carne e pesce) e limitando quelli ultraprocessati (prodotti pronti, snack, dolciumi, ecc…).

Pochi anni fa, la Harvard Medical School ha proposto un’iniziativa di educazione alimentare, disegnando il cosiddetto Healthy Eating Plate (1), cioè il piatto del mangiar sano. Questo rappresenta un piatto “ideale” perché offre alcune regole dietetiche di base che aiutano a comporre un pasto equilibrato. In sostanza, deve essere presente una fonte di carboidrati (che comprende cereali integrali come pasta e pane), una fonte di fibre (oltre che di vitamine e minerali) da frutta e verdura, nonché una fonte di proteine. Come tutti gli alimenti, anche le fonti proteiche vanno inserite in una dieta settimanale sana con buonsenso e senza eccessi, e la carne rossa non è da meno, essendo una valida fonte proteica, anche e ancor di più all’interno di una dieta dimagrante.

In merito al consumo di carne rossa e sovrappeso/obesità, i risultati di una recente metanalisi (2) estendono l’evidenza che il consumo di carne rossa non è associato al rischio di sovrappeso, così come non c’è associazione tra consumo di carne totale e obesità.

È ormai noto che le proteine della carne aiutano l’organismo a consumare più energia e favoriscono la sazietà più di altri nutrienti energetici. Infatti, le proteine sono il macronutriente che ha il maggiore impatto sulla termogenesi, ovvero sul processo di produzione di calore e di dispendio energetico dell’organismo. Le proteine richiedono fino al 30% in più di energia per essere digerite rispetto agli altri macronutrienti, producendo così un vantaggio metabolico.

La carne presenta alcune qualità che la rendono un ottimo alimento all’interno di una dieta dimagrante, tra cui l’alto valore biologico delle proteine e l’assenza di carboidrati, quindi il conseguente indice glicemico nullo.  Inoltre, contiene composti bioattivi (minerali tra cui calcio, zinco, rame e iodio, vitamine del gruppo B, carnitina e coenzima Q10) che stimolano il metabolismo.

Altro aspetto fondamentale, è rappresentato dal fatto che le proteine della carne sono tra le migliori nel promuovere la costruzione muscolare e quindi l’aumento della massa magra a scapito della massa grassa. A differenza delle proteine vegetali, che sono carenti di amminoacidi essenziali quali metionina, leucina e lisina (e questo limita il loro potere anabolico), le proteine animali sono ricche di tutti gli amminoacidi necessari alla costruzione delle proteine.

Questo è da tenere in considerazione quando si intraprende un percorso dimagrante. Dimagrire, infatti, non equivale al solo “perdere peso”, ma presuppone una riduzione della massa adiposa, favorendo al contempo il mantenimento della massa muscolare.

Rispetto alle diete a base di carboidrati, quelle ad alto contenuto proteico sono le più efficaci per aiutare le persone a perdere peso, perché migliorano accuratamente il senso di sazietà e controllano meglio l’appetito.

In conclusione, appare inutile inseguire l’ultima dieta del momento priva di alcun fondamento scientifico, le challenge che promettono di perdere 7 chili in 7 giorni e qualunque altra trovata commerciale. Accogliere e mettere in pratica le buone e sane abitudini è la scelta migliore anche per chi deve perdere peso, e tra queste non viene negata una buona bistecca di carne rossa.

1. Harvard T.H. Healthy Eating Plate. The Nutrition Source. Healthy Eating Plate | The Nutrition Source | Harvard T.H. Chan School of Public Health
2. Daneshzad E, Askari M, Moradi M, Ghorabi S, Rouzitalab T, Heshmati J, et al. (2021). Red meat, overweight and obesity: A systematic review and meta-analysis of observational studies. Clinical Nutrition ESPEN. 45, 66-74.
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Redazione
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Carne rossa e salute: come cuocerla al meglio
Nutrizione
16/06/2023
2 min.
Nutrizione

La carne rossa è un’importante fonte di proteine e di nutrienti essenziali, tra cui ferro, zinco e vitamina B12 

Per questo motivo è importante integrare correttamente questo alimento dalla dieta: un aspetto che ha un impatto sulla salute che spesso viene trascurato è la modalità di cottura della carne. 

Le alte temperature raggiunte durante la cottura possono favorire la produzione di sostanze nocive quali le ammine eterocicliche (o HCA, dall’inglese HeteroCyclic Amine) e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).  

Pertanto, al fine di consumare carne riducendo i rischi derivanti da alcune tipologie di cottura, è bene prestare la giusta attenzione alle modalità di cottura e limitare a rare occasioni le modalità di cottura più “aggressive” (temperature superiori a 150-180°C, tempi prolungati, esposizione diretta della carne alla fiamma) come il barbecue e la frittura, riducendo in maniera significativa l’apporto nella dieta di molecole ad attività potenzialmente nociva. 

Allo scopo di abbreviare i tempi di cottura sulla griglia, è consigliabile ad esempio effettuare una precottura nel forno. Altra accortezza: durante la cottura al barbecue, andrebbero puliti immediatamente i gocciolamenti di grasso e la carne dovrebbe essere girata frequentemente per evitare che si bruci, oppure cuocere la carne avvolta in fogli di alluminio, limitando il rischio di carbonizzazione.  

Utile anche bilanciare il pasto con verdure ricche in carotenoidi e antiossidanti, quali pomodori e carote. 

Ultima pratica utile: la marinatura. Marinare la carne prima di sottoporla a cottura utilizzando olio di oliva, vino, succo di limone, aglio e spezie può contrastare efficacemente la formazione di composti nocivi quali le ammine eterocicliche. 

Via libera, invece, alle modalità di cottura più delicate quali la cottura al vapore, la stufatura, la bollitura

McAfee AJ, McSorley EM, Cuskelly GJ, Moss BW, Wallace JM, Bonham MP, et al. (2009). Red meat consumption: an overview of the risks and benefits. Meat Science. 84(1): 1-13. doi: 10.1016/j.meatsci.2009.08.029.

WHO-IARC. (2015). IARC Monographs evaluate consumption of red meat and processed meat, 26 ottobre 2015.

Magkos F, Rasmussen SI, Hjorth MF, Asping S, Rosenkrans MI, Sjödin AM, et al. (2022). Unprocessed red meat in the dietary treatment of obesity: a randomized controlled trial of beef supplementation during weight maintenance after successful weight loss. American Journal of Clinical Nutrition. 116(6): 1820-1830. doi: 10.1093/ajcn/nqac152.

Lee JG, Kim SY, Moon JS, Kim SH, Kang DH, Yoon HJ. (2015). Effects of grilling procedures on levels of polycyclic aromatic hydrocarbons in grilled meats. Food Chemistry. 199: 632-638. doi: 10.1016/j.foodchem.2015.12.017.
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Redazione
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Proteine animali: le migliori alleate per preservare la salute muscolare in età avanzata
Nutrizione
16/02/2023
4 min.
Nutrizione

Tra le errate convinzioni alimentari diffuse negli ultimi anni vi è sicuramente quella di dover eliminare la carne; tuttavia, il modello della Dieta Mediterranea, noto per essere considerato dai nutrizionisti di tutto il mondo come uno dei migliori in termini di prevenzione delle patologie e di benessere della persona, è un modello basato sul consumo equilibrato di tutte le categorie alimentari.

L’esclusione della carne dalla propria dieta, infatti, può influire negativamente sull’assunzione proteica, funzionale per la salute muscolare, poiché le proteine di alta qualità, caratteristiche degli alimenti di origine animale, sono fondamentali per il mantenimento della salute dei muscoli, soprattutto in età avanzata quando aumenta il rischio di sviluppare sarcopenia (1).

Sarcopenia: che cos’è?

La sarcopenia è un disturbo progressivo e generalizzato della muscolatura scheletrica associato a una maggiore probabilità di esiti avversi, tra cui cadute, fratture, disabilità fisica e mortalità (2). È una condizione debilitante e associata all’avanzamento dell’età, caratterizzata dalla perdita di massa e forza muscolare (3). Si stima che il 30% degli ultrasessantenni e il 50% degli ultraottantenni siano affetti da sarcopenia. Inoltre, poiché si prevede che la popolazione over 85 raddoppierà nei prossimi tre decenni, la sarcopenia sarà un significativo problema di salute pubblica (1). Tra i principali fattori di rischio modificabili per la sarcopenia emerge soprattutto un inadeguato apporto proteico poiché le proteine forniscono gli aminoacidi essenziali per la sintesi proteica muscolare e quindi, come anticipato, per il corretto mantenimento della massa muscolare (3).

Un’adeguata assunzione proteica per supportare la salute muscolare

Le proteine vegetali e animali non sono uguali: differiscono per qualità (cioè per il loro profilo amminoacidico) e biodisponibilità (ovvero per la loro digeribilità).
Le proteine provenienti da fonti animali, nello specifico, sono definite di alta qualità per la presenza di tutti e nove gli amminoacidi essenziali in quantità elevate e per la maggiore biodisponibilità di questi ultimi. Le proteine vegetali, invece, sono caratterizzate da una quantità spesso molto bassa o dall’assenza di uno o più amminoacidi essenziali e questi sono anche meno biodisponibili (per la conformazione della proteina, per la presenza di composti chelanti e per la presenza di fibre dietetiche che limitano la digeribilità proteica) (1).
Alle differenze intrinseche tra le proteine è importante associare anche la ridotta funzionalità gastro-intestinale che sopraggiunge con l’età.
Quest’ultima, infatti, porta a una fisiologica riduzione dell’assorbimento degli amminoacidi e, dunque, optare solo per proteine di per sé metabolizzate con più difficoltà, come quelle vegetali, potrebbe portare a un declino accelerato della massa muscolare.

I cambiamenti legati all’età nella digestione delle proteine, combinati con la risposta dell’organismo a seguito dell’assunzione di fonti proteiche diverse, implicano differenze importanti nella progettazione di piani alimentari personalizzati per adulti più giovani e più anziani (1).
I prodotti animali sono ricchi di nutrienti e sono anche importanti fonti alimentari di calcio, noto per essere protettivo per la salute muscoloscheletrica e pertanto richiesto dal corpo in quantità superiori con l’avanzamento dell’età.
L’importanza della prevenzione per la salute muscolare non inizia solo con la senilità, ma è importante considerarla lungo tutto l’arco della vita (ad esempio, adottando già dalla giovane età uno stile di vita sano e attivo) con aumentata attenzione a partire dai 60 anni.

Proteine della carne e consigli pratici per l’alimentazione quotidiana dei soggetti più fragili

Considerando la diminuzione dell’efficienza dei processi di assorbimento e metabolici che si verifica con l’avanzare dell’età, al fine di soddisfare i fabbisogni nutrizionali e prevenire sarcopenia e/o malnutrizione, è importante aumentare gli apporti proteici: l’obiettivo nutrizionale per la prevenzione a partire dai 60 anni suggerisce l’assunzione di 1,1 grammi di proteine per ogni chilogrammo di peso corporeo tutti i giorni. In caso di stress o effettiva malnutrizione, compatibilmente con la funzionalità renale, l’apporto proteico può essere ulteriormente aumentato arrivando a 1,5-2 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno.

Nella scelta delle proteine da assumere è preferibile privilegiare quelle ad alto valore biologico, proprio come quelle presenti nella carne e, più in generale, negli alimenti di origine animale. Questi alimenti garantiscono non solo un corretto apporto proteico, quanto anche migliori apporti di vitamine essenziali per l’età geriatrica, come le vitamine del gruppo B e la vitamina D.
Altri micronutrienti importanti che con l’età vengono meno sono sicuramente i minerali, tra cui in primis il calcio. La perdita di calcio, infatti, è comune in età avanzata e anche in questo caso il ricorso ad alimenti di origine animale è una valida strategia per integrare naturalmente con la sola alimentazione questo prezioso elemento (5).

D’altro canto, una dieta ricca in alimenti vegetali è associata a un miglioramento della salute cardiovascolare; Pertanto, nella pianificazione alimentare dei più fragili (ma non solo) emerge l’importanza di saper combinare il meglio delle soluzioni animali e vegetali capaci di supportare la salute, tra cui anche e soprattutto quella muscolare (6).

1. Reid-McCann, R. J., Brennan, S. F., McKinley, M. C., & McEvoy, C. T. (2022). The effect of animal versus plant protein on muscle mass, muscle strength, physical performance and sarcopenia in adults: protocol for a systematic review. Systematic Reviews, 11(1), 1-9.
2. Cruz-Jentoft, A. J., Bahat, G., Bauer, J., Boirie, Y., Bruyère, O., Cederholm, T., ... & Zamboni, M. (2019). Sarcopenia: revised European consensus on definition and diagnosis. Age and ageing, 48(1), 16-31.
3. Veronese, N., Demurtas, J., Soysal, P., Smith, L., Torbahn, G., Schoene, D., ... & Maggi, S. (2019). Sarcopenia and health-related outcomes: an umbrella review of observational studies. European Geriatric Medicine, 10(6), 853-862.
4. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. (2009) Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 12(1):86–90
5. CREA. (2018). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione.
6.Leroy, F., Beal, T., Gregorini, P., McAuliffe, G. A., & Van Vliet, S. (2022). Nutritionism in a food policy context: the case of ‘animal protein’. Animal Production Science, 62(8), 712-720.
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Nutrimi
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Simposio internazionale COW IS VEG – I videointerventi dei relatori
Sostenibilità
03/10/2022
2 min.
Sostenibilità

Durante la sessione “CARNE ROSSA TRA SOSTENIBILITÀ, NUTRIZIONE E FUTURO”, un parterre di esperti internazionali ha presentato dati inediti per rivelare il reale impatto della carne rossa su ambiente e nutrizione, affrontando il tema sotto diversi punti di vista, tutti di grande attualità: dagli obiettivi di sviluppo sostenibile, ai cambiamenti climatici, alla malnutrizione, passando per l’evoluzione dell’uomo.

 

Il contributo globale della zootecnia agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile: opportunità e sfide

ANNE MOTTET, Livestock Development Officer, United Nations Food and Agriculture Organization – FAO

 

Cambiamento climatico e allevamenti: come la gestione del metano può rendere il bovino parte della soluzione

FRANK MITLOEHNER, Professore e Air Quality Extension Specialist, UC Davis –  USA

 

Dieta ed evoluzione: come il consumo di carne ci ha resi umani

MIKI BEN-DOR, Ricercatore in nutrizione e diete ancestrali, Dipartimento di Archeologia, Tel Aviv University – Israele

 

Mangiare meno carne non salverà il pianeta: l’importanza di una corretta nutrizione

FREDERIC LEROY, Professore nel campo della Scienza dell’Alimentazione, Vrije Universiteit Brussel – Belgio

 

Si è parlato inoltre del VALORE SOCIALE ED ECONOMICO DEL SETTORE BOVINO IN ITALIA, con GIUSEPPE PULINA, Professore Ordinario di Etica e Sostenibilità delle produzioni animali presso l’Università di Sassari, che ha presentato nuovi dati per mostrare la distintività dell’allevamento bovino italiano, in particolare in termini di impatto ambientale.

 

Allargando lo sguardo a livello più globale, il prof. Pulina ha infine evidenziato come la zootecnia in Europa sia estremamente più virtuosa che altrove, e il termine “intensivo” acquisisce un significato del tutto nuovo e di valore.

 

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Redazione
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Efficienza e sostenibilità: il settore della carne bovina parte della soluzione per vincere la sfida globale dell’alimentazione
Sostenibilità
30/09/2022
7 min.
Sostenibilità

Il Simposio Scientifico Internazionale “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile” presenta dati inediti che rivelano il reale impatto della carne rossa su ambiente e nutrizione.

 

Roma, 29 settembre 2022 –  La sfida globale del settore agroalimentare per i prossimi anni consisterà nel garantire cibo sicuro e prodotto in maniera sostenibile a una popolazione crescente, con le previsioni che parlano di 9,7 miliardi di persone entro il 2050. Se per qualcuno la soluzione per conciliare disponibilità alimentare e ambiente dovrebbe essere smettere di produrre e consumare carne, secondo le stime FAO, invece, in uno scenario sostenibile, sarà necessario garantire un aumento medio del 30% della disponibilità di alimenti di origine animale, soprattutto nei paesi in via di sviluppo (Fonte: FAO. 2018. The future of food and agriculture). E proprio sulla sinergia fra nuove sfide della food security e sostenibilità, si è tenuto oggi a Roma il simposio “Cow is Veg – Il ruolo dei ruminanti in una dieta sostenibile” organizzato da Assocarni in collaborazione con Coldiretti, durante il quale un parterre di scienziati internazionali si è confrontato su questo tema.

 

In particolare sull’importanza di guardare al sistema zootecnico sotto differenti aspetti – ambientale, ma anche economico e sociale – è intervenuto Maurizio Martina, Vicedirettore Generale della FAO, che ha sottolineato l’apporto di queste filiere “alla grande sfida della sostenibilità” e ha ribadito il valore di un approccio scientifico e ragionato al tema ricordando che nel mondo 1 miliardo e 300 milioni di persone vivono grazie al lavoro in zootecnia. E proprio nell’ottica di considerare le filiere zootecniche come parte di un nuovo equilibrio sostenibile, il Vicedirettore generale della Fao ha detto: “Sono molte le questioni importanti sui cui si può lavorare insieme: contro le emissioni, sulla qualità dei mangimi, sull’utilizzo dei terreni e dei suoli, per la selezione delle razze, sulla gestione dei reflui, per la circolarità integrale dei sistemi zootecnici. Temi concreti che aiutano a spostare in avanti l’equilibrio per renderlo sempre più sostenibile e più avanzato” E ha concluso Martina “In questo senso non abbiamo bisogno di approcci ideologici, ma di buone pratiche che ci facciano lavorare insieme”.

 

L’agricoltura, di cui la zootecnia è parte integrante, ha già risposto con i fatti sulla capacità di aumentare la produzione riducendo gli impatti: negli ultimi 30 anni il comparto agricolo ha sfamato quasi 2,5 miliardi di persone in più riducendo le emissioni pro-capite di circa il 20% (Fonte: Our World in Data).

Sul fronte del consumo di acqua e di suolo e della cosiddetta feed vs food competition, ad esempio, in questi anni sono emersi dati importanti capaci di fare chiarezza in un panorama informativo spesso inquinato da dannose fake news.

 

In un contesto come quello che si sta delineando – aumento della popolazione, aumento del reddito medio e contestuale aumento della richiesta di alimenti di origine animale –  la capacità dei ruminanti di convertire erba e vegetali ricchi in cellulosa in proteine, senza entrare in competizione con l’uomo, è un’opportunità unica per il settore zootecnico di contribuire alla food security con proteine ad alto valore biologico. Ma non solo, i ruminati si mostrano estremamente efficienti nella conversione delle proteine vegetali in proteine animali. Su questo Anne Mottet, Livestock Development Officer presso la FAO, intervenuta ai lavori della mattinata, ha affermato che “L’intero settore zootecnico mondiale consuma circa un terzo dei cereali che produciamo. Ma questa quota può essere ridotta. In particolare, i ruminati hanno un più efficiente indice di conversione proteica: sono in grado di produrre un chilo di proteine assumendo solo seicento grammi di proteine vegetali.  Anche per quanto riguarda il land use, il settore zootecnico globale utilizza circa 2,5 miliardi di ettari di suolo, il 77% dei quali sono praterie, per gran parte non coltivabili e quindi utilizzabili solo dagli animali al pascolo, che se riconvertite a colture creerebbero danni ai servizi ecosistemici.”

 

Se oggi la produzione e il consumo di carne sono dunque al centro di un dibattito pubblico spesso fortemente polarizzato che influenza la lettura dei dati riguardanti la salute e gli impatti ambientali, emergono in parallelo dati più che confortanti, che vedono gli allevamenti bovini come parte integrata della soluzione climatica. Come spiega il Prof. Frank Mitloehner, Air Quality specialist in Cooperative Extension presso il Dipartimento di Scienze Animali della UC Davis, “I bovini sono spesso etichettati erroneamente come un problema climatico, mentre in realtà rappresentano un’opportunità: gestendo al meglio le emissioni, soprattutto di metano, i bovini diventano parte della soluzione climatica. In alcune regioni, l’allevamento può raggiungere la neutralità climatica – il punto in cui non comporta ulteriore riscaldamento climatico – con riduzioni fattibili di metano, il tutto fornendo al contempo alimenti altamente nutrienti”.

 

Uno studio più attento delle emissioni di gas serra fa emergere, infatti, come anidride carbonica e metano non abbiano la stessa permanenza in atmosfera e lo stesso impatto sul clima. In particolare, il metano emesso naturalmente dai bovini, viene scomposto in atmosfera e riconvertito in CO2 nel giro di dieci anni per poi essere riassorbito dalle piante con la fotosintesi, rientrando nel naturale ciclo biogenico del carbonio. Invece la CO2 prodotta dai combustibili fossili si accumula e permane in atmosfera potenzialmente per mille anni. Agendo, quindi, sul contenimento delle emissioni di metano dei bovini si opererebbe un effettivo sequestro di carbonio in atmosfera, rendendo di fatto la zootecnia un settore attivo nella lotta al cambiamento climatico, in opposizione a quanto si ritiene erroneamente oggi.

 

La carne, inoltre, continua a rivestire un’importanza determinante dal punto di vista nutrizionale: evitare o ridurre eccessivamente l’assunzione di carne può rendere le diete meno equilibrate soprattutto per i giovani e le fasce di popolazione più fragili, tra cui le donne in età riproduttiva, gli anziani e le persone affette da patologie.

 

La carne, infatti, è un’importante fonte di proteine di alta qualità e di vari micronutrienti di cui si rilevano carenze a livello globale (anche presso gran parte delle popolazioni occidentali) come ferro, zinco e vitamina B12. Come riportato da Frederic Leroy, Professore nel campo della Scienza dell’Alimentazione presso la Vrije Universiteit Brussel, e relatore al simposio, “Nonostante si tratti dell’alimento che ha accompagnato l’evoluzione della specie umana costituito da proteine di qualità e micronutrienti altamente biodisponibili, l’assunzione di molti dei quali è peraltro limitata da parte della popolazione, spesso la carne viene ingiustamente inquadrata come una scelta alimentare non salutare. Al contrario, la carne dovrebbe essere considerata un alimento chiave per migliorare lo stato nutrizionale nell’ambito di una dieta sana, soprattutto per le popolazioni con esigenze nutrizionali elevate. Prescindere dal ruolo nutrizionale degli alimenti nel formulare raccomandazioni per un consumo meno impattante per l’ambiente rappresenta infatti un grave errore”, continua Leroy: “è assolutamente fondamentale tenere in considerazione e incorporare tali vantaggi nutrizionali anche nelle valutazioni di carattere ambientale, per consentire confronti e valutazioni equi”.

 

La valenza nutrizionale della carne rappresenta inoltre un importante retaggio evoluzionistico che caratterizza la nostra specie da oltre due milioni di anni. “Le evidenze circa il metabolismo indicano che gli esseri umani, evolutisi nel Paleolitico come ‘ipercarnivori’, sono ancora adattati a una dieta in cui i lipidi e le proteine, piuttosto che i carboidrati, offrono un contributo importante all’approvvigionamento energetico” ha dichiarato Miki Ben-Dor, Ricercatore in nutrizione e diete ancestrali presso il Dipartimento di Archeologia dell’Università di Tel Aviv.

 

Alla luce di queste riflessioni, emerge chiaramente l’importanza di guardare con fiducia al settore zootecnico e alle sue evoluzioni in grado di contribuire positivamente all’auspicata neutralità climatica futura, così come è necessario cominciare a guardare ai bovini come a una risposta concreta e sostenibile alla crescente richiesta di proteine di alta qualità da parte della popolazione globale.

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Redazione
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Dieta onnivora vs diete a base vegetale: che rapporto con l’aspettativa di vita?
Nutrizione
02/08/2022
4 min.
Nutrizione

L’International Journal of General Medicine ha recentemente pubblicato un articolo che afferma come, diversamente da quanto si legge oggi sul web – spesso condito da fonti poco attendibili – un corretto consumo di carne rossa non ha ripercussioni negative in termini di aspettativa di vita e una dieta a base vegetale, in tal senso, non è preferibile.

L’associazione tra una dieta a base vegetale e una maggior durata della vita, infatti, viene messa in discussione, in quanto i dati e gli studi oggi disponibili spesso non sono sufficientemente rappresentativi e, oltretutto, nei diversi studi non vengono rimossi i fattori confondenti come gli stili di vita (sedentarietà, fumo, …), che possono alterare notevolmente i risultati finali (1).

Nel relazionare abitudini alimentari e aspettativa di vita è importante specificare cosa si intende con il termine longevità. Quest’ultima è una favorevole interazione tra fattori genetici e ambientali che portano a un’aspettativa di vita decisamente superiore alla media, libera da condizioni che compromettono qualità e durata della vita. Tra i fattori che determinano una maggior longevità, l’adozione di uno specifico regime alimentare non è un parametro secondario (2).

A tal proposito, una delle prime osservazioni che possiamo fare per validare la funzionalità dei regimi alimentari onnivori rispetto a quelli vegetali è sicuramente quella evoluzionistica. Fin dal primo Paleolitico, infatti, il consumo di carne ha costituito una parte non trascurabile della nostra dieta (3). È merito della carne se sono aumentate le dimensioni della corporatura e del cervello umani, nonché le capacità di sopravvivenza grazie al miglioramento delle funzioni cerebrali. Nonostante ciò, sulla base dell’assunto che la “carne faccia male”, negli ultimi 50 anni si è diffusa la preferenza per regimi alimentari vegetariani e del veganesimo, senza che questi modelli fossero realmente giustificati (1). Studi con campioni rappresentativi condotti in Australia (4) e nel Regno Unito (5), al contrario, hanno dimostrato come il consumo di carne non sia correlato negativamente all’aspettativa di vita dopo aver controllato gli elementi dello stile di vita relativi alla salute.

Anche lo studio di riferimento, utilizzando i dati raccolti dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie, ha provveduto a verificare che, in tutto il mondo, le popolazioni che registrano un maggior consumo di carne in realtà non avessero un’aspettativa di vita inferiore, ma che anzi questa fosse addirittura superiore (1). Nello studio sono stati raccolti i dati da un campione rappresentativo (del 90% della popolazione mondiale) a partire da 175 popolazioni differenti; sono stati considerati nelle analisi i cambiamenti metabolici e fisici potenzialmente negativi in termini di salute e inclusi i principali fattori confounder (tra cui calorie totali consumate, PIL, urbanizzazione, obesità e livelli di istruzione). Inoltre, sono stati estratti i dati sull’assunzione mondiale di carne (g/giorno pro capite) di tutti gli anni in cui il dato FAO era disponibile  come variabile indipendente, per correlarli con la aspettativa di vita longitudinale per gli stessi anni. Infine, sono stati ulteriormente raggruppati i Paesi che seguono principalmente la Dieta Mediterranea, il regime alimentare basato sulle cucine tradizionali di Grecia, Italia e altri paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo che Include carne, e principalmente alimenti di origine vegetale, come olio d’oliva, cereali, verdure, frutta, noci ed erbe. Grazie alla combinazione di questi alimenti, la Dieta Mediterranea è considerata una dieta complessivamente sana ed è stata associata a una riduzione della mortalità per tutte le cause nella maggior parte degli studi osservazionali (1).

A seguito dell’analisi statistica, è stato possibile ottenere a livello globale un’associazione trasversale tra il consumo di carne e l’aspettativa di vita alla nascita, all’età di 5 anni e la mortalità infantile a livello di popolazione.

I risultati dell’analisi statistica indicano che i Paesi con una maggiore assunzione di carne hanno una maggiore aspettativa di vita e una minore mortalità infantile. Questa relazione è indipendente dagli effetti dell’apporto calorico, dello status socio-economico, dell’obesità, dell’urbanizzazione e dell’istruzione. Dal punto di vista statistico, il risultato di questo studio indica inequivocabilmente che il consumo di carne è vantaggioso per l’aspettativa di vita in modo indipendente (1).

 

  1. You, W., Henneberg, R., Saniotis, A., Ge, Y., & Henneberg, M. (2022). Total Meat Intake is Associated with Life Expectancy: A Cross-Sectional Data Analysis of 175 Contemporary Populations. International Journal of General Medicine15, 1833.
  2. Nicita-Mauro, V., Basile, G., Maltese, G., Mento, A., Mazza, M., Nicita-Mauro, C., & Lasco, A. (2005). Stile di vita, invecchiamento e longevità. Giornale di Gerontologia35, 340-349.
  3. Lawrie, R. A., & Ledward, D. A. (2014). Lawrie’s meat science. Woodhead Publishing.
  4. Mihrshahi, S., Ding, D., Gale, J., Allman-Farinelli, M., Banks, E., & Bauman, A. E. (2017). Vegetarian diet and all-cause mortality: Evidence from a large population-based Australian cohort-the 45 and Up Study. Preventive medicine97 1-7.
  5. Key, T. J., Thorogood, M., Appleby, P. N., & Burr, M. L. (1996). Dietary habits and mortality in 11 000 vegetarians and health conscious people: results of a 17 year follow up. Bmj313(7060), 775-779.
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Carne rossa: un’alleata contro l’anemia da carenza di ferro
Nutrizione
29/07/2022
4 min.
Nutrizione

Un articolo recentemente pubblicato su The Journal of Nutrition – Nutrient Requirements and Optimal Nutrition – imputa l’aumento dei casi di anemia e i relativi tassi di mortalità tra il 1999 e il 2018 ai recenti cambiamenti nei modelli alimentari, responsabili di una significativa riduzione del consumo di alimenti ricchi in ferro, come la carne rossa(1).

 

In quali condizioni si verifica l’anemia?

In genere si parla di anemia quando i valori di emoglobina, proteina presente nei globuli rossi e deputata al trasporto dell’ossigeno nel circolo ematico, sono inferiori rispetto al normale (12 g/dl nella donna, 13 g/dl nell’uomo), il che può portare a una capacità ridotta del sangue di trasportare ossigeno e dunque a una ridotta soddisfazione delle funzioni fisiologiche del corpo (2).

La carenza di ferro (Fe) è una delle cause principali di anemia, responsabile addirittura della metà dei casi di anemia a livello mondiale (3).  

 

Ferro nell’alimentazione: differenza tra alimenti di origine animale e vegetale

Le principali fonti di ferro nella dieta sono gli alimenti di origine animale, quali pesce, carne e uova (con valori compresi tra 0,2-6 mg/100 g) ma anche alcuni alimenti di orgine vegetale come legumi, frutta secca, cereali integrali e verdure in foglia. Occorre tuttavia fare distinzione tra il ferro presente nei vegetali e quello presente negli alimenti di origine animale. Negli alimenti di origine vegetale, infatti, il ferro è totalmente presente nella sua forma “non-eme”,  caratterizzato da una biodisponibilità ridotta rispetto al ferro eme presente invece esclusivamente negli alimenti di origine animale (40% vs 60% ferro non-eme)(4).

 

Differenze tra ferro eme e non-eme

Oltre alla diversa reperibilità alimentare, tra le due forme di ferro esistono delle importanti differenze a livello fisiologico: mentre l’assorbimento del ferro-non-eme è influenzato dalla presenza o meno di sostanze inibitrici (come i fitati presenti in cereali e legumi) o promotrici (come la vitamina C), il ferro eme viene assorbito da siti altamente specializzati presenti nella mucosa intestinale e non è influenzato dalla presenza di altre sostanze che possono promuovere o inibire la sua assimilazione(5).

 

Anemia da carenza di ferro: quanto influiscono le abitudini alimentari?

Al fine di indagare quali potessero essere le cause di un aumento dei casi di anemia nella popolazione presa a campione tra il 1999 e il 2018, lo studio ha esaminato, oltre alle tendenze temporali della mortalità, della prevalenza di anemia da carenza di ferro e dei valori ematici a essa associati, anche i cambiamenti nell’assunzione di ferro con la dieta, evidenziando come le scelte alimentari possano influire significativamente su questa condizione.
Le analisi statistiche hanno evidenziato che tra il 1999 e il 2018 l’assunzione alimentare di ferro è diminuita di circa il 6,6% negli uomini e del 9,5% nelle donne. Tra le motivazioni che hanno portato a questa diminuizione, oltre a una progressiva preferenza per regimi alimentari plant-based, vi è anche lo spostamento delle preferenze di consumo di carne da prevalentemente di manzo (caratterizzata da concentrazioni di ferro eme più alte) a carni come il pollame (dalle concentrazioni di ferro eme relativamente più basse) (1).

Questi dati evidenziano quanto la carne rossa sia un valido alimento per garantire il corretto apporto di vitamine e preziosi minerali, come il ferro, essenziali per la salute. Il ferro è vitale per molti processi cellulari nel corpo e, come componente dell’emoglobina, è essenziale per mantenere un adeguato trasporto di ossigeno nel sangue. Il ferro eme presente nella carne è più biodisponibile del ferro non eme presente nelle fonti vegetali e, per questo motivo, i consumatori di carne mantengono uno stato di ferro migliore rispetto a chi segue regimi alimentari restrittivi privi di carne (6). Inoltre, la carne rossa è riconosciuta come una fonte preferibile di ferro ematico rispetto al pollame e al pesce (7). Ecco perchè il giusto apporto di carne rossa con la dieta sembra essere una valida strategia per prevenire stati carenziali di ferro, fattore nutrizionale determinante nello sviluppo di condizioni di anemia.

 

  1. Sun, H., & Weaver, C. M. (2021). Decreased iron intake parallels rising iron deficiency anemia and related mortality rates in the US population. The Journal of Nutrition151(7), 1947-1955.
  2. Cullis, J. O. (2011). Diagnosis and management of anaemia of chronic disease: current status. British journal of haematology154(3), 289-300.
  3. World Health Organization. (2011). Haemoglobin concentrations for the diagnosis of anaemia and assessment of severity(No. WHO/NMH/NHD/MNM/11.1). World Health Organization.
  4. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).
    5. Istituto Superiore di Sanità. (2020). Ferro nella dieta. Stili di vita, alimentazione e ambiente.
  5. Cosgrove, M., Flynn, A., & Kiely, M. (2005). Consumption of red meat, white meat and processed meat in Irish adults in relation to dietary quality. British Journal of Nutrition93(6), 933-942.
  6. Johnston, J., Prynne, C. J., Stephen, A. M., & Wadsworth, M. E. J. (2007). Haem and non-haem iron intake through 17 years of adult life of a British Birth Cohort. British Journal of Nutrition98(5), 1021-1028.
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Nutrimi
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La “carne vegetale” non sostituisce la carne “naturale”
Nutrizione
12/05/2022
3 min.
Nutrizione

Nonostante le apparenti somiglianze in termini di etichette nutrizionali, i metaboliti presenti nell’alternativa di carne a base vegetale e nel manzo differiscono del 90%.
Questo è quanto riportano i ricercatori della Duke University (Durham, North Carolina), in un recente studio pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.

A fronte del crescente interesse economico e scientifico che suscitano le alternative vegetali, lo studio si è focalizzato sul confronto tra i profili dei metaboliti presenti in carne bovina e fake-meat, al fine di capire se i due alimenti potessero definirsi effettivamente interscambiabili sotto il profilo nutrizionale.
Per farlo i ricercatori si sono avvalsi dell’analisi metabolomica, una tecnica analitica che consente di misurare e confrontare un gran numero di nutrienti e metaboliti presenti nei campioni biologici. In particolare, il confronto è avvenuto tra 18 campioni di carne a base vegetale e altrettanti di carne di manzo alimentata ad erba, sottoposti prima allo stesso metodo di cottura e successivamente al test (1).

Osservando le informazioni nutrizionali in etichetta, su 113 grammi:
La fake-meat contiene 19 g di proteine, 9 g di carboidrati, 14 g di grassi (di cui 8 g saturi) e 250 kcal. Da sottolineare inoltre che, per quel che riguarda i micronutrienti, l’alternativa vegetale risulta fortificata con ferro, acido ascorbico, tiamina, riboflavina, niacina, B6, B12 e zinco.
La carne bovina, d’altra parte, contiene 24 g di proteine, 0 g di carboidrati, 14 g di grassi (di cui 5 saturi) e 220 kcal. I micronutrienti, in questo caso, fanno parte della matrice alimentare naturale.
Se fin qui le due alternative non differiscono in modo significativo, l’analisi metabolomica evidenzia invece come su 190 metaboliti selezionati tra i più comuni e spesso presenti, ben 171 sono diversi nella carne di manzo e nella fake-meat. Infatti, sono 22 i metaboliti trovati esclusivamente nella carne bovina e 51 i metaboliti in quantità superiori rispetto all’alternativa vegetale. Quest’ultima, d’altro canto, presenta 31 metaboliti non presenti nella carne di manzo e 67 composti in quantità superiori (1).

Molti di questi nutrienti sono considerati non essenziali o essenziali in base alle fasi della vita (ad esempio, l’infanzia, la gravidanza o l’età avanzata) e di conseguenza sono spesso poco considerati nelle discussioni sui requisiti nutrizionali umani (2). La loro importanza non dovrebbe tuttavia essere ignorata, poiché la loro assenza (o presenza) esercita un potenziale impatto sul metabolismo umano e sulla salute.
Ad esempio, creatinina, idrossiprolina, anserina, glucosamina e cisteamina sono solo alcuni dei nutrienti trovati esclusivamente nella carne bovina. Questi metaboliti ricoprono un importante ruolo fisiologico e antinfiammatorio e basse assunzioni si associano a disfunzioni cardiovascolari, neurocognitive, retiniche, epatiche, del muscolo scheletrico e del tessuto connettivo (3,4).
In ragione di quanto affermato, lo studio riporta come la carne bovina e le sue alternative a base vegetale non dovrebbero essere considerati veramente intercambiabili dal punto di vista nutrizionale, ma potrebbero essere visti come complementari in termini di nutrienti forniti.

 

  1. van Vliet, S., Bain, J. R., Muehlbauer, M. J., Provenza, F. D., Kronberg, S. L., Pieper, C. F., & Huffman, K. M. (2021). A metabolomics comparison of plant-based meat and grass-fed meat indicates large nutritional differences despite comparable Nutrition Facts panels. Scientific reports11(1), 1-13.
  2. Barabási, A. L., Menichetti, G., & Loscalzo, J. (2020). The unmapped chemical complexity of our diet. Nature Food1(1), 33-37.
  3. Wu, G. (2020). Important roles of dietary taurine, creatine, carnosine, anserine and 4-hydroxyproline in human nutrition and health. Amino acids52(3), 329-360.
  4. Tallima, H., & El Ridi, R. (2018). Arachidonic acid: physiological roles and potential health benefits–a review. Journal of advanced research11, 33-41.
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