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Dieta mediterranea significa ‘onnivora’: una scelta di salute.
Nutrizione
20/06/2021
4 min.
Nutrizione

Tra vegani e vegetariani è molto diffusa e radicata la convinzione che una dieta esclusivamente vegetale sia benefica e possa addirittura favorire la guarigione da presunti disturbi causati dalla dieta onnivora. In realtà, anche sulla base di studi sul cancro che non hanno mostrato particolari differenze nell’incidenza di questa patologia tra vegetariani e non vegetariani, la letteratura suggerisce che lo stato di salute di soggetti vegetariani occidentali non sia affatto migliore di quella degli individui onnivori e, anzi, che sia del tutto comparabile alla salute di chi mangia carne. Il punto chiave si trova nella qualità e nella proporzionalità della dieta onnivora che deve essere ispirata alla dieta mediterranea. Una dieta onnivora sbilanciata infatti può essere tanto pericolosa quanto una dieta eccessivamente privativa.

L’importanza nutrizionale della carne è da ricercare in particolare nel suo apporto di importanti micronutrienti quali ferro, selenio, vitamine A, B12 e acido folico, alcuni dei quali scarsamente rappresentati nel mondo vegetale o comunque poco biodisponibili in queste fonti. Se l’alimentazione vegetariana prevede l’esclusione di tutti gli alimenti carnei dalla dieta, la vegana estende l’esclusione al consumo di qualsiasi derivato animale. In termini di nutrienti, la prima è tipicamente ricca in carboidrati, acidi grassi omega-6, fibra, carotenoidi, acido folico, magnesio, vitamine C ed E, ma, se non ben pianificata da un esperto in nutrizione, tendenzialmente è insufficiente nell’apportare proteine, acidi grassi omega-3 attivi, vitamina B12 e zinco. I vegani, in particolare, possono presentare importanti carenze di vitamina B12 e bassi introiti di calcio, zinco e selenio, e inoltre per far fronte alle necessità proteiche sono costretti ad assumere grandi quantità di cereali e legumi spesso mal tollerate e origine di disturbi gastrointestinali in particolare nei soggetti affetti da sindrome dell’intestino irritabile o di disbiosi intestinale. Se è vero che, grazie alla grande varietà di alimenti a disposizione e di nutrienti che ognuno di essi è in grado di apportare, nessuno di essi è indispensabile alla nostra salute e al nostro benessere, va riconosciuto che il consumo di alcuni alimenti è particolarmente raccomandabile per alcune fasce di popolazione ‘vulnerabili’. Diversi studi volti a indagare lo stato di salute delle popolazioni vegetariane evidenziano un particolare rischio di carenze che può diventare preoccupante per i bambini e donne in gravidanza e allattamento.

La gravidanza rappresenta sicuramente un momento di aumentato fabbisogno di sostanze nutritive, che si riflette anche in una maggiore attenzione da parte della donna alla propria dieta. L’accresciuto fabbisogno di proteine tipico di questa fase della vita può essere soddisfatto attraverso un maggiore introito di alimenti proteici, tra cui le carni. Esse sono in grado di apportare al contempo anche ferro, folati e vitamine B1, B2 e B12, tutte sostanze di cui la donna in stato di gravidanza ha un fabbisogno accresciuto, insieme a calcio e vitamina A, reperibili in diversi altri alimenti di origine animale (come il fegato, il latte o le uova) o vegetale. Il consumo di carne in gravidanza si basa sulla semplice raccomandazione di evitare carne, salumi e altri prodotti animali crudi o poco cotti.
Alcuni studi evidenziano che i bambini allattati al seno da madri vegetariane, soggetti a elevato rischio di iperomocisteinemia (l’elevata concentrazione di omocisteina nel sangue) causata dalla carenza di vitamina B12, siano a rischio di gravi anomalie dello sviluppo, difetti della crescita e anemia. È importante ricordare che l’apporto esclusivo di folati per fronteggiare il rischio dell’iperomocisteinemia nei soggetti che non assumono vitamina B12 è del tutto insufficiente per la comparsa di un fenomeno metabolico chiamato “trappola dei folati”.

Il primo rischio di carenza di nutrienti per il bambino si verifica poi al passaggio dalla fase di allattamento a quella di svezzamento, quando è necessaria una buona dose di ferro altamente biodisponibile. Accrescendo l’assorbimento di ferro, un’aumentata assunzione di carne durante lo svezzamento può prevenire una diminuzione della concentrazione di emoglobina nella tarda infanzia, ovvero la manifestazione dell’anemia. Una nutrizione inadeguata durante l’infanzia è associata a scarsi risultati scolastici e cognitivi a breve termine, mentre l’integrazione alimentare con carne è collegata a un miglioramento cognitivo nell’infanzia. Una carenza multipla di nutrienti quali vitamina B12, tiamina, niacina, zinco e ferro nei bambini è associata a una ridotta performance cognitiva, con conseguenze per la salute che si potrebbero riscontrare anche durante l’età adulta.

A cura di
Luca Piretta