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Negli allevamenti italiani si utilizzano antibiotici come promotori della crescita? Restano nella carne che mangiamo? Chi controlla che le carni che arrivano sulla nostra tavola non contengono antibiotici?
17/09/2021
2 min.

Secondo l’approccio dato dalle normative attuali in materia, dal 2006, l’uso degli antibiotici deve essere solo terapeutico e non preventivo. I farmaci vengono somministrati soltanto in presenza di patologie: l’utilizzo di qualsiasi antibiotico deve essere prescritto da un veterinario autorizzato e questa procedura stabilisce il regime di trattamento, cioè la durata e la dose necessaria, e il rigoroso rispetto dei tempi di sospensione, ovvero il tempo necessario affinché il farmaco sia smaltito prima che l’animale o i prodotti da esso derivato possano essere idonei al consumo. Un tale protocollo garantisce efficacia del trattamento, escludendo il rischio di residui nelle carni e riducendo al minimo quello dell’antibiotico resistenza.

A conferma del rispetto di queste norme nelle oltre 344.686 analisi condotte nel 2019 dalle autorità pubbliche competenti per la valutazione dei residui di trattamenti farmacologici su animali produttori di derrate alimentari i campioni non conformi sono stati meno dello 0,1%. Oltre ai limiti massimi di residui (LMR) viene stabilita anche la Quantità Giornaliera Accettabile (ADI), cioè la quantità di una sostanza che può essere ingerita ogni giorno per tutta la vita senza avere alcun effetto sulla salute umana. Le leggi, nello stabilire questi limiti, considerano quantità anche 100 volte inferiori a quelle sicure per l’uomo: in altri termini, se le ricerche hanno stabilito 100 come limite di sicurezza per l’uomo, la legge fissa un limite di 1 come residuo accettabile. Per questo, il livello di sicurezza è massimo: anche se ingerissimo tutti i giorni queste sostanze, cosa che nella realtà non avviene, l’impatto sulla nostra salute sarebbe comunque nullo.

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