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Il bovino e l’economia circolare
Sostenibilità
09/11/2021
3 min.
Sostenibilità

Quello dei nutrizionisti che si occupano di alimentazione dei bovini è un mondo affascinante e inestricabile per i non addetti ai lavori. Un po’ dietologi e un po’ alchimisti, devono vedersela con sigle astruse come NDF (fibra neutro detersa) o UF (unità foraggere), parole arcane come steaming-up o proteine by-pass. E poi formule a volontà per calcolare i fabbisogni in funzione dell’indirizzo produttivo e dello stato fisiologico degli animali.

Perché tanta complessità? Come affermano alcuni nutrizionisti, estremizzando il concetto, non è necessario alimentare i bovini, ma è importante nutrire i miliardi di batteri, protozoi e funghi che abitano nel loro apparato digerente e che lo rendono un erbivoro perfetto. Il bovino, infatti, ha la capacità di trarre nutrimento da alimenti poveri, come possono esserlo fieni ed erbe, grazie alla presenza di quattro stomaci e in particolare del rumine.

Ma basta poco per modificare il delicato equilibrio che si realizza nel rumine e compromettere tutto, anche la salute dell’animale. Per questo le ricerche sull’alimentazione dei bovini vantano una lunga storia e conoscenze approfondite su ogni componente della razione.

Si scopre allora che non tutta l’erba è uguale e nemmeno lo sono gli altri alimenti che possono entrare nella mangiatoia.

Da una parte le leguminose, che vantano la presenza nelle loro radici di un batterio simbionte, il Rhizobium leguminosarum, grazie al quale la pianta è in grado di catturare l’azoto atmosferico e aumentare il tenore in proteine. Di questa famiglia una fra le più utilizzate è l’erba medica, nome evocativo di proprietà nutraceutiche. Poi il grande gruppo delle graminacee che compongono i prati polifiti, indispensabili per la qualità delle loro fibre, fondamentali per il corretto “lavoro” del rumine.

Quando il pascolo non è possibile, la conservazione di questi alimenti è affidata alla fienagione. Pratica antica che affida al sole il compito di togliere l’acqua in eccesso, mantenendo pressoché inalterate le caratteristiche nutritive delle erbe trasformate in fieno. Se il calore del sole non basta, si ricorre alla disidratazione in appositi impianti. Costosa, ma assai efficiente nel conservare tutte le proprietà nutritive della pianta.

Un cenno a parte merita la pratica dell’insilamento. I vegetali, opportunamente triturati, sono compressi e collocati in ambienti privi o quasi di aria, lasciando che le fermentazioni che si instaurano in queste condizioni provvedano alla loro conservabilità. Principale protagonista di questa “formula” è il mais, raccolto a uno stadio di maturazione precoce. Non solo il tutolo con il suo carico di semi, ma tutta l’enorme massa vegetale di questa pianta, che nella sua crescita ha contribuito a sequestrare carbonio, producendo ossigeno e migliorando l’ambiente.

In alcuni casi, in particolare quando la richiesta fisiologica di proteine è elevata, gli insilati sono arricchiti con alimenti ad elevato contenuto proteico. Il pensiero corre alla soia, leguminosa che vanta alte percentuali di proteine. Che possono tuttavia giungere da fonti, per dire, meno “nobili”. Un lungo elenco nel quale figurano le trebbie di birreria, le polpe surpressate di barbabietola o i tanti prodotti derivati dalle lavorazioni in imprese agroalimentari, come molini, pastifici e industrie conserviere

Tutti alimenti (è improprio e riduttivo chiamarli sottoprodotti) che all’indiscussa salubrità accomunano una ricchezza nutrizionale che andrebbe altrimenti sprecata. Non solo, il loro smaltimento, in assenza dei bovini, sarebbe motivo di costi e di un considerevole impatto ambientale. Quel filo d’erba, quello stocco di mais e ciò che resta della birra che stiamo gustando, ci vengono restituiti sotto forma di proteine nobili della carne e del latte, insieme a vitamine indispensabili e preziosi minerali. Un esempio di economia circolare che ha come protagonista il bovino.

A cura di
Angelo Gamberini