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Quanto impatta davvero l’allevamento in Italia?
Sostenibilità
07/07/2022
3 min.
Sostenibilità

Il dibattito sull’impatto ambientale delle produzioni agroalimentari e zootecniche continua ormai da anni, con la zootecnia al centro come massimo esponente e i bovini come maggiori responsabili del cambiamento climatico. Tuttavia, diversamente dalle fuorvianti informazioni che si trovano sul web, nel suo complesso la filiera delle carni bovine non ha un elevato impatto in termini di emissioni di anidride carbonica (CO2), ma anzi sembra partecipare al raggiungimento della neutralità climatica (1,2).

Quando si valuta l’impatto delle emissioni di gas a effetto serra che hanno le attività umane, è importante considerare tutti gli elementi che costituiscono l’attività. In particolare, per quel che riguarda l’allevamento bovino, è necessario considerare tanto la fase di allevamento quanto le fasi precedenti, come quella della produzione degli input agricoli, necessari ad assicurare ai bovini un’alimentazione corretta.

Le piante presenti nei terreni destinati al pascolo e quelle coltivate appositamente per l’alimentazione bovina, infatti, presentano un potenziale di riduzione delle emissioni di carbonio davvero notevole e sottovalutato. Grazie alla fotosintesi clorofilliana, le piante crescono assorbendo anidride carbonica e rilasciando ossigeno e, in questo modo, sottraggono carbonio all’atmosfera (processo noto come fissazione del carbonio) (1) e partecipano attivamente al contrasto dell’effetto serra (3).

In Italia, ad esempio, considerando le emissioni prodotte dagli animali e confrontandole con la capacità delle produzioni di mangimi di assorbire CO2, emerge chiaro come la filiera zootecnica, nel suo complesso, non contribuisca all’aumento dei gas a effetto serra in atmosfera ma anzi si bilanci da sola. Questa caratteristica è nota come carbon neutrality e viene descritta come la capacità di riuscire a compensare l’impatto dei gas tra una fase e l’altra della catena produttiva arrivando ad avere emissioni nette zero di CO2 (2).

Una volta chiarito questo concetto è importante capire come quantificare in numeri le emissioni di CO2.
Nella maggior parte dei casi viene usata la carbon footprint, una misura che esprime la totalità delle emissioni di gas associate direttamente o indirettamente ad un prodotto, un’organizzazione o un servizio (4). Tutti i gas che hanno un effetto sul cambiamento in atmosfera, grazie a questa misura, vengono convertiti in CO2 equivalente (CO2eq) così da poter ottenere dei valori confrontabili tra loro e quantificare numericamente le emissioni.

In Italia, complessivamente, considerando la carbon footprint, la zootecnia è responsabile di circa 66.200.000 tonnellate di CO2eq mentre i vegetali coltivati sottraggono all’atmosfera circa 73.300.000 tonnellate di CO2, con una differenza tra i valori emissione/sottrazione superiore di circa il 10% (raggiungendo così la neutralizzazione delle emissioni). In altre parole, ogni 100 kg di CO2 prodotta dall’attività zootecnica genera 110 kg di CO2 di stock nella biomassa, il che dovrebbe aiutare a compensare non solo la CO2 prodotta dall’allevamento ma anche da altre attività umane (1).

  1. De Vivo, R., & Zicarelli, L. (2021). Influence of carbon fixation on the mitigation of greenhouse gas emissions from livestock activities in Italy and the achievement of carbon neutrality. Translational Animal Science, 5(3), txab042.
    2. IPCC. (2018). Annex I: Glossary [Matthews, J.B.R. (ed.)]. In: Global Warming of 1.5°C. An IPCC Special Report on the impacts of global warming of 1.5°C above pre-industrial levels and related global greenhouse gas emission pathways, in the context of strengthening the global response to the threat of climate change, sustainable development, and efforts to eradicate poverty.
    3. Ciccarese, L., & Kloehn, S. (2010). La capacità fissativa di carbonio nei prodotti legnosi: una stima per l’Italia. Agriregionieuropa, 6, 21.
    4. Ministero della Transizione Ecologica (2022). Cos’è la «carbon footprint»? https://www.mite.gov.it/pagina/cose-la-carbon-footprint

 

A cura di
Giuseppe Pulina