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Come creare un piatto bilanciato a base di carne rossa?
Nutrizione
19/04/2023
3 min.
Nutrizione

Ai fini di una sana alimentazione, è importante prestare attenzione tanto al quantitativo di proteine, carboidrati e grassi assunti con la dieta, quanto alla fonte da cui derivano, che può più o meno risultare preferibile in termini di qualità dei macronutrienti assunti. A tal proposito, rispetto all’apporto proteico, è importante tenere in considerazione la qualità delle proteine e, in particolar modo quali amminoacidi apportano. Per chiarire ogni dubbio, potremmo definire gli aminoacidi come i mattoncini che costituiscono le proteine e definire essenziali quelli che il nostro organismo non è in grado di produrre da solo, ma che devono essere introdotti con l’alimentazione. Tra questi, un posto d’onore spetta alla leucina, un amminoacido essenziale a catena ramificata, presente in tutte le proteine ma sicuramente più abbondante in quelle di origine animale (1).  

Proteine ad alto valore biologico e Leucina 

La qualità delle proteine può essere valutata attraverso il loro valore biologico. Quest’ultimo è un parametro numerico che valuta la qualità delle proteine che assumiamo con l’alimentazione e, nello specifico, esprime sia il contenuto di aminoacidi essenziali, sia il loro potenziale plastico, ovvero la loro capacità di “costruire la muscolatura” (o stimolare la sintesi muscolare).
Tra i vari nutrienti, le proteine ad alto valore biologico come quelle della carne (di cui abbiamo parlato approfonditamente anche qui) e la leucina sono di particolare interesse per i loro effetti dimostrati sulla salute muscolo-scheletrica (1).  

L’assunzione di alimenti contenenti proteine, infatti, sembrerebbe stimolare la sintesi proteica muscolare, con un picco di circa 2-3 ore dopo l’ingestione (2). Se poi la leucina risulta presente in buone proporzioni sembrerebbe ancor meglio. Essendo uno dei 10 aminoacidi essenziali, la leucina svolge un ruolo importante nella sintesi e nella degradazione delle proteine e, in particolare, nella promozione della sintesi proteica a seguito del pasto (3). 

Questo è ancor più importante da tenere in considerazione quando si invecchia, poiché con l’avanzamento dell’età la sintesi proteica risulta fisiologicamente ridotta (4). Negli individui anziani, infatti, l’apporto proteico dovrebbe essere superiore (di 1,0-1,2 g al giorno per kg di peso corporeo), così da mantenere uno stato proteico positivo. Un uomo anziano di 70 kg dovrebbe, quindi, consumare mediamente tra 70 e 84 g di proteine al giorno,  ricordando sempre che 100g di carne non apportano 100g di proteine ma solo 20g. Ma non solo! Il gruppo di studio PROT-AGE (5) ha proposto per gli anziani un apporto proteico pari a 25–30 g di proteine per pasto per contrastare la perdita di massa magra tipica dell’età, suggerendo al contempo di garantire un apporto di leucina di circa 2.5-2.8 g ai tre pasti principali (5).  

Come tradurre in pratica queste indicazioni nutrizionali?  

La carne rossa non solo contiene proteine ad alto valore biologico, come altri alimenti di origine animale, ma vanta anche un significativo contenuto di leucina: ad esempio, 100 g di fesa di bovino adulto contengono ben 1.894 mg di leucina. Trasformare questo dato in pratica?  

Componiamo insieme il nostro pasto in questo semplice modo: 

– filetto di bovino (120 g); 

– Contorno di verdure grigliate (100 g melanzane, 100 g zucchine) e patate (350 g) condite con olio, aceto, sale e spezie; 

– 2 crackers di riso in accompagnamento; 

– macedonia di frutta mista (50 g fragole, 50 g pesca, 50 g banana); 

Con un pasto così composto, otteniamo un totale di 753 kcal, 34.4 g di proteine con 2.7 g di leucina.  

1. Tessier, A.J. & Chevalier, S. (2018). An update on protein, leucine, omega-3 fatty acids, and vitamin d in the prevention and treatment of sarcopenia and functional decline. Nutrients, 10(8):1099. doi: 10.3390/nu10081099

2. Moore, D.R., Robinson, M.J., Fry, J.L., Tang, J.E., Glover, E.I., Wilkinson, S.B., et al. (2009). Ingested protein dose response of muscle and albumin protein synthesis after resistance exercise in young men. American Journal of Clinical Nutrition, 89(1):161-8. doi: 10.3945/ajcn.2008.26401

3. Sugawara, T., Ito, Y., Nishizawa, N., & Nagasawa, T. (2007). Supplementation with dietary leucine to a protein-deficient diet suppresses myofibrillar protein degradation in rats. Journal of nutritional science and vitaminology, 53(6), 552-555.

4. Devries, M.C., McGlory, C., Bolster, D.R., Kamil, A., Rahn, M., Harkness L., et al. (2018). Protein leucine content is a determinant of shorter- and longer-term muscle protein synthetic responses at rest and following resistance exercise in healthy older women: a randomized, controlled trial. American Journal of Clinical Nutrition. 107(2):217-226. doi: 10.1093/ajcn/nqx028

5. Bauer, J., Biolo, G., Cederholm, T., Cesari, M., Cruz-Jentoft, A.J., Morley, J.E., et al. (2013). Evidence-based recommendations for optimal dietary protein intake in older people: a position paper from the PROT-AGE study group. Journal of the American Medical Directors Association, 14(8):542-59. doi: 10.1016/j.jamda.2013.0 5.021
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Il ferro non è tutto uguale: carne rossa vs spinaci di Popeye
Nutrizione
18/04/2023
4 min.
Nutrizione

Quante volte da bambini ci siamo sentiti dire “mangia gli spinaci che diventi forte”? Tante. E quante volte ci siamo conviti che fosse davvero così? Sempre. 

“Tutta colpa di Popeye”, più conosciuto come Braccio Di Ferro, il marinaio che trangugiava una latta di spinaci e, in un attimo, riempiva i suoi muscoli di forza.  

Ad oggi, fa sorridere pensare che tutta questa bufala sia in parte dovuta a un semplice errore tipografico in una tabella di composizione degli alimenti; è bastato, infatti, l’errore nel posizionamento di una virgola, ed ecco che gli spinaci, per diverso tempo, sono stati ritenuti un prezioso alimento in grado di apportare quantitativi di ferro notevoli, ben 10 volte superiori al loro reale contenuto 

Da lì, sono diversi gli imprenditori che hanno cavalcato l’onda di un valore nutrizionale stratosferico, creando un personaggio capace di contribuire all’impennata del consumo di spinaci (1). L’errore è stato poi corretto, ma ormai era troppo tardi per modificare l’associazione che si era creata nell’immaginario collettivo: spinaci = ferro. 

Qual è la verità sul ferro? 

Il ferro è presente in svariati alimenti, sia di origine animale che di origine vegetale, ma è bene sapere che il ferro non è tutto uguale.
Il ferro-eme, presente nell’emoglobina e nella mioglobina degli alimenti di origine animale (in primis della carne), viene assorbito come tale e in elevata percentuale, circa il 25%, indipendentemente dalla composizione della dieta.
Il ferro non-eme, costituito da sali ferrosi e ferrici, è contenuto negli alimenti di origine vegetale (come gli spinaci per l’appunto), ma presenta una percentuale di assorbimento molto più bassa, circa il 2-13%. Il suo assorbimento, inoltre, dipende dalla presenza nel pasto di altre sostanze riducendosi, ad esempio, quando introdotto assieme ad alimenti ricchi in calcio, un minerale davvero importante per la salute delle ossa.  

Ferro: ogni età ha il suo fabbisogno 

Il ferro ha l’importante compito di permettere il trasporto dell’ossigeno nell’organismo attraverso il sangue e il suo fabbisogno è particolarmente alto per le donne in età fertile. In Italia, inoltre, sembra che gli adolescenti e soprattutto le adolescenti siano un gruppo esposto a grave rischio di carenza di ferro 

È infatti importante sapere che, il fabbisogno di ferro non è uguale in tutte le età e si modifica nel corso della vita: 

– 11 mg nei lattanti; 

– 8 mg nei bambini fino ai 3 anni; 

– 11 mg dai 4 ai 6 anni; 

– 13 mg da 7 a 10 anni; 

– 10 mg nei maschi di 11-14 anni; 

– 13 mg nei maschi di 15-17 anni; 

– 10 mg nei maschi dai 18 anni in su;  

– 18 mg nelle femmine dagli 11 ai 59 anni; 

–  10 mg nelle femmine dai 60 anni in su; 

Particolare attenzione anche al periodo della gravidanza, in cui l’assunzione giornaliera di ferro deve essere pari a 27 mg (1). 

Come assumere ferro eme con la dieta?  

La carne di bovino è un’ottima fonte di ferro biodisponibile. Le carni rosse rappresentano, infatti, un alimento particolarmente efficace per la copertura dei fabbisogni. Oltre a fornire ferro eme, quindi facilmente assimilabile, aumentano l’assorbimento del ferro non eme, svolgendo quindi una importantissima funzione antianemica (delle diverse proprietà nutrizionali della carne rossa abbiamo parlato anche qui).  

Le parti del bovino più ricche di ferro sono le interiora: milza 42 mg, fegato 8.8 mg, rene 8 mg, cuore 4.6 mg, cervello 3.6 mg, lingua 2.8 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). Anche i tagli più comuni e conosciuti si difendono bene. Il filetto di vitello ne contiene ben 2.3 mg/100 g, la fesa di bovino adulto 1.8 mg, mentre i tagli posteriori di bovino adulto o vitellone ne hanno circa 1.6 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). 

Un buon piatto a base di carne di bovino può, quindi, essere una valida strategia per fare il pieno di ferro, anche in epoche delicate della vita, quali lo svezzamento e la gravidanza. Basterà adottare alcuni utili accorgimenti: carne ben cotta per le donne in gravidanza e tagli morbidi senza nervature per i più piccoli, da servire in piccoli pezzi, tagliati nel senso della lunghezza. 

1. Tufte, T. (2005). Entertainment-education in development communication. Media and Global Change, Rethinking Communication for Development, 159-174.

2. Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana IV revisione. 

3. Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA). (2019). Tabelle di composizione degli alimenti. AlimentiNUTrizione (2019). 
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Perché è importante non escludere la carne in gravidanza? 
Nutrizione
23/02/2023
3 min.
Nutrizione

La dieta è un fattore chiave per modificare il rischio di sviluppare malattie croniche o problemi per la salute e deve essere considerata un vero e proprio strumento di prevenzione, ancor più durante alcune delicate fasi della vita, come la gravidanza.  

In gravidanza è molto importante contribuire positivamente alla salute del nascituro adottando uno stile di vita sano, poiché un neonato sano ha maggiori possibilità di rimanere in salute anche in età avanzata.   

Il regime dietetico adottato durante la gravidanza, infatti, può avere implicazioni tanto per la salute della madre quanto per quella del nascituro (1).  

Perché preferire una dieta onnivora? 

Le raccomandazioni nutrizionali invitano le donne in gravidanza a consumare una dieta equilibrata e varia caratterizzata da un’assunzione frequente di verdure, frutta, cereali integrali, latticini a basso contenuto di grassi, carne e pesce magri, legumi e noci (2).  

Il consumo di carne e di prodotti a base di carne, in generale, fornisce all’organismo umano l’apporto di importanti nutrienti, tra cui proteine, minerali (come il ferro e il calcio) e vitamine (come quelle del gruppo B), la cui assunzione è dunque fondamentale per scongiurare potenziali rischi. Un buon apporto di ferro, ad esempio, è essenziale per prevenire l’anemia che, durante la gravidanza e in particolare nel terzo trimestre, può causare esiti perinatali avversi tra cui travaglio pretermine, rottura prematura delle membrane e aumento della mortalità materna e fetale (1), così come bassi livelli materni di B12 si associano a insulino-resistenza e a cambiamenti nel rapporto del profilo lipidico nel cordone ombelicale (3).  

La preferibilità di una dieta onnivora in gravidanza è testimoniata anche da diversi studi.  
In un articolo pubblicato sul Journal of Perinatology vengono riportate alcune delle principali differenze riscontrate nelle donne incinte che seguono una dieta vegana o onnivora da cui emerge proprio come chi segue un regime alimentare restrittivo come quello vegano presenti sia un peso gestazionale inferiore, sia un maggior rischio di partorire neonati con un peso e/o una lunghezza alla nascita inferiori al peso normale (4), il che potrebbe avere non pochi esiti avversi per la salute futura del nascituro.  

Dieta onnivora: quale preferire?  

Date le evidenze disponibili sui cambiamenti che influenzano la salute delle donne durante la gravidanza, è preferibile seguire una dieta onnivora, sana e adeguata prima, durante e dopo tutta la gestazione.   

La Dieta Mediterranea (DM) è considerata uno dei modelli alimentari che garantisce un migliore apporto di nutrienti: utilizza generose quantità di olio extravergine di oliva (EVO) come principale grasso e prevede un elevato apporto di alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, noci e semi e cereali integrali non lavorati), un corretto apporto di alimenti di origine animale (pesce, carne, uova e prodotti lattiero-caseari, in particolare yogurt e formaggio, ma non burro o panna) e un basso apporto di dolci (5).  

L’aderenza alla DM durante la gravidanza è associata ad una diminuzione del rischio di diabete gestazionale, delle infezioni del tratto urinario, della prematurità nei neonati e del ridotto peso alla nascita; inoltre è stata anche associata a una migliore qualità del sonno e alla prevenzione di sovrappeso e obesità (5).  

In ragione di ciò, le future madri dovrebbero essere incoraggiate a mantenere questo modello di dieta che non rinuncia ai prodotti di origine animale. Inoltre, non dovrebbero dimenticare l’importanza di consultare un esperto in nutrizione, essere seguite regolarmente per la crescita fetale, e per un adeguato aumento di peso gestazionale durante la gravidanza (4).   

1. Giromini, C., & Givens, D. I. (2022). Benefits and Risks Associated with Meat Consumption during Key Life Processes and in Relation to the Risk of Chronic Diseases. Foods, 11(14), 2063. 
2. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione. 
3. Adaikalakoteswari, A., Vatish, M., Lawson, A., Wood, C., Sivakumar, K., McTernan, P. G., ... & Saravanan, P. (2015). Low maternal vitamin B12 status is associated with lower cord blood HDL cholesterol in white Caucasians living in the UK. Nutrients, 7(4), 2401-2414. 
4. Avnon, T., Paz Dubinsky, E., Lavie, I., Ben-Mayor Bashi, T., Anbar, R., & Yogev, Y. (2021). The impact of a vegan diet on pregnancy outcomes. Journal of Perinatology, 41(5), 1129-1133. 
5. Zaragoza-Martí, A., Ruiz-Ródenas, N., Herranz-Chofre, I., Sánchez-SanSegundo, M., Delgado, V. D. L. C. S., & Hurtado-Sánchez, J. A. (2022). Adherence to the Mediterranean Diet in Pregnancy and Its Benefits on Maternal-Fetal Health: A Systematic Review of the Literature. Frontiers in Nutrition, 9. 
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Redazione
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Proteine animali: le migliori alleate per preservare la salute muscolare in età avanzata
Nutrizione
16/02/2023
4 min.
Nutrizione

Tra le errate convinzioni alimentari diffuse negli ultimi anni vi è sicuramente quella di dover eliminare la carne; tuttavia, il modello della Dieta Mediterranea, noto per essere considerato dai nutrizionisti di tutto il mondo come uno dei migliori in termini di prevenzione delle patologie e di benessere della persona, è un modello basato sul consumo equilibrato di tutte le categorie alimentari.

L’esclusione della carne dalla propria dieta, infatti, può influire negativamente sull’assunzione proteica, funzionale per la salute muscolare, poiché le proteine di alta qualità, caratteristiche degli alimenti di origine animale, sono fondamentali per il mantenimento della salute dei muscoli, soprattutto in età avanzata quando aumenta il rischio di sviluppare sarcopenia (1).

Sarcopenia: che cos’è?

La sarcopenia è un disturbo progressivo e generalizzato della muscolatura scheletrica associato a una maggiore probabilità di esiti avversi, tra cui cadute, fratture, disabilità fisica e mortalità (2). È una condizione debilitante e associata all’avanzamento dell’età, caratterizzata dalla perdita di massa e forza muscolare (3). Si stima che il 30% degli ultrasessantenni e il 50% degli ultraottantenni siano affetti da sarcopenia. Inoltre, poiché si prevede che la popolazione over 85 raddoppierà nei prossimi tre decenni, la sarcopenia sarà un significativo problema di salute pubblica (1). Tra i principali fattori di rischio modificabili per la sarcopenia emerge soprattutto un inadeguato apporto proteico poiché le proteine forniscono gli aminoacidi essenziali per la sintesi proteica muscolare e quindi, come anticipato, per il corretto mantenimento della massa muscolare (3).

Un’adeguata assunzione proteica per supportare la salute muscolare

Le proteine vegetali e animali non sono uguali: differiscono per qualità (cioè per il loro profilo amminoacidico) e biodisponibilità (ovvero per la loro digeribilità).
Le proteine provenienti da fonti animali, nello specifico, sono definite di alta qualità per la presenza di tutti e nove gli amminoacidi essenziali in quantità elevate e per la maggiore biodisponibilità di questi ultimi. Le proteine vegetali, invece, sono caratterizzate da una quantità spesso molto bassa o dall’assenza di uno o più amminoacidi essenziali e questi sono anche meno biodisponibili (per la conformazione della proteina, per la presenza di composti chelanti e per la presenza di fibre dietetiche che limitano la digeribilità proteica) (1).
Alle differenze intrinseche tra le proteine è importante associare anche la ridotta funzionalità gastro-intestinale che sopraggiunge con l’età.
Quest’ultima, infatti, porta a una fisiologica riduzione dell’assorbimento degli amminoacidi e, dunque, optare solo per proteine di per sé metabolizzate con più difficoltà, come quelle vegetali, potrebbe portare a un declino accelerato della massa muscolare.

I cambiamenti legati all’età nella digestione delle proteine, combinati con la risposta dell’organismo a seguito dell’assunzione di fonti proteiche diverse, implicano differenze importanti nella progettazione di piani alimentari personalizzati per adulti più giovani e più anziani (1).
I prodotti animali sono ricchi di nutrienti e sono anche importanti fonti alimentari di calcio, noto per essere protettivo per la salute muscoloscheletrica e pertanto richiesto dal corpo in quantità superiori con l’avanzamento dell’età.
L’importanza della prevenzione per la salute muscolare non inizia solo con la senilità, ma è importante considerarla lungo tutto l’arco della vita (ad esempio, adottando già dalla giovane età uno stile di vita sano e attivo) con aumentata attenzione a partire dai 60 anni.

Proteine della carne e consigli pratici per l’alimentazione quotidiana dei soggetti più fragili

Considerando la diminuzione dell’efficienza dei processi di assorbimento e metabolici che si verifica con l’avanzare dell’età, al fine di soddisfare i fabbisogni nutrizionali e prevenire sarcopenia e/o malnutrizione, è importante aumentare gli apporti proteici: l’obiettivo nutrizionale per la prevenzione a partire dai 60 anni suggerisce l’assunzione di 1,1 grammi di proteine per ogni chilogrammo di peso corporeo tutti i giorni. In caso di stress o effettiva malnutrizione, compatibilmente con la funzionalità renale, l’apporto proteico può essere ulteriormente aumentato arrivando a 1,5-2 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno.

Nella scelta delle proteine da assumere è preferibile privilegiare quelle ad alto valore biologico, proprio come quelle presenti nella carne e, più in generale, negli alimenti di origine animale. Questi alimenti garantiscono non solo un corretto apporto proteico, quanto anche migliori apporti di vitamine essenziali per l’età geriatrica, come le vitamine del gruppo B e la vitamina D.
Altri micronutrienti importanti che con l’età vengono meno sono sicuramente i minerali, tra cui in primis il calcio. La perdita di calcio, infatti, è comune in età avanzata e anche in questo caso il ricorso ad alimenti di origine animale è una valida strategia per integrare naturalmente con la sola alimentazione questo prezioso elemento (5).

D’altro canto, una dieta ricca in alimenti vegetali è associata a un miglioramento della salute cardiovascolare; Pertanto, nella pianificazione alimentare dei più fragili (ma non solo) emerge l’importanza di saper combinare il meglio delle soluzioni animali e vegetali capaci di supportare la salute, tra cui anche e soprattutto quella muscolare (6).

1. Reid-McCann, R. J., Brennan, S. F., McKinley, M. C., & McEvoy, C. T. (2022). The effect of animal versus plant protein on muscle mass, muscle strength, physical performance and sarcopenia in adults: protocol for a systematic review. Systematic Reviews, 11(1), 1-9.
2. Cruz-Jentoft, A. J., Bahat, G., Bauer, J., Boirie, Y., Bruyère, O., Cederholm, T., ... & Zamboni, M. (2019). Sarcopenia: revised European consensus on definition and diagnosis. Age and ageing, 48(1), 16-31.
3. Veronese, N., Demurtas, J., Soysal, P., Smith, L., Torbahn, G., Schoene, D., ... & Maggi, S. (2019). Sarcopenia and health-related outcomes: an umbrella review of observational studies. European Geriatric Medicine, 10(6), 853-862.
4. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. (2009) Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 12(1):86–90
5. CREA. (2018). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione.
6.Leroy, F., Beal, T., Gregorini, P., McAuliffe, G. A., & Van Vliet, S. (2022). Nutritionism in a food policy context: the case of ‘animal protein’. Animal Production Science, 62(8), 712-720.
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Alimentazione “veg”: un trend davvero più salutare?
Nutrizione
30/08/2022
5 min.
Nutrizione

Negli ultimi anni, il dibattito su quale regime alimentare preferire in termini di salute ha portato al diffondersi della convinzione che l’adozione di un’alimentazione “veg” possa essere l’unica strada perseguibile.

Di recente, però, la scrittrice Jayne Buxton – epidemiologa ed esperta di salute pubblica, docente presso la School of Population and Public Health della British Columbia University – sembra aver rimesso in discussione questo assunto teorico, attraverso la pubblicazione del suo nuovo libro The Great Plant-Based Con: Why eating a plants-only diet won’t improve your health or save the planet. Nel libro, l’esperta mira a mostrare le due facce della medaglia del veganismo, con la volontà di ridurre gli estremismi offrendo una visione della reale complessità del sistema alimentare.

Oggi, infatti, il consumo di alimenti “veg” è diventato più un trend che un’esigenza. La letteratura esistente ha da tempo studiato questo fenomeno, evidenziando il ruolo principale delle motivazioni etiche e spirituali e limitando invece le ragioni sociali e salutistiche, che hanno attirato l’attenzione degli studiosi solo di recente (1).

 

Dieta e salute: i limiti di un’alimentazione esclusivamente vegetale

L’adozione di un regime alimentare restrittivo come quello vegano, se non opportunamente calibrato ed integrato, sembra avere un impatto negativo in termini di salute, aumentando le probabilità di sviluppare atrofia muscolare (2), malattie della pelle e numerosi altri disturbi (3), tra cui un possibile incremento di sintomi psichici (4). Nel momento in cui vengono escluse completamente categorie di alimenti, infatti, è importante fare scelte alimentari appropriate per poter raggiungere l’adeguatezza nutrizionale. Se non correttamente pianificata e supplementata, anche attraverso integratori e alimenti fortificati o addizionati, una dieta vegana può portare all’insorgenza di diverse carenze nutrizionali (vitamine del gruppo B, vitamina D, acidi grassi omega-3, calcio, ferro, zinco e iodio) (5). Ulteriore insicurezza sull’adeguatezza nutrizionale subentra quando in un regime vegano vengono scelti alimenti vegetali ultra-processati che cercano di emulare le caratteristiche sensoriali e le peculiarità nutritive degli alimenti di origine animale (esempi ne sono le bevande vegetali, la fake meat e l’alt fish) che, in quanto altamente processati, sono spesso ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale e poveri di fibre e micronutrienti.

 

Dieta e salute: i vantaggi della Dieta Mediterranea

È invece noto come un regime alimentare basato sulla Dieta Mediterranea, vario ed equilibrato, che non rinuncia al consumo moderato di alimenti di origine animale, sia considerato tra i più protettivi nei confronti di sovrappeso e obesità (6), sia associato a tassi più bassi di insorgenza di diabete, a un migliore controllo glicemico, a una riduzione della mortalità (soprattutto quella cardiovascolare), e a un conseguente aumento della longevità. Inoltre, la Dieta Mediterranea è stata associata a una minore disfunzione cognitiva legata all’età e a una minore incidenza di disturbi neurodegenerativi, in particolare del morbo di Alzheimer (7).

Veganesimo in Italia: un fenomeno in calo

Dopo aver registrato un incremento nazionale nel 2021 nel numero di integralisti vegani, gli ultimi dati Eurispes 2022 (8) confermano un calo del trend (Tab. 1), con oltre il 10% degli intervistati tornato ad un regime alimentare meno restrittivo e solo l’1,3% che dichiara di essere ancora vegano.

Di fronte alla domanda “Ha mai cercato di convincere altre persone a seguire una dieta vegetariana?”, il 62% di coloro che seguono un’alimentazione “veg” ha dichiarato di aver cercato di convincere i propri familiari; il 51,8% ha cercato di convincere il proprio partner; il 43,1% ha cercato di coinvolgere gli amici e il 29,2% ha cercato di convincere i conoscenti.

Tab. 1. Riduzione del trend ‘Veg’ negli ultimi 3 anni. Fonte dati Eurispes (8)

Anno Vegetariani Vegani TOT. VEG ONNIVORI
2020 6,70% 2,20% 8,90% 91,10%
2021 5,80% 2,40% 8,20% 91,80%
2022 5,40% 1,30% 6,70% 93,30%

 

I preconcetti conoscitivi e percettivi degli individui rispetto all’importanza di una dieta equilibrata sono in grado di influenzare le scelte alimentari, il comportamento dei consumatori e l’assunzione di nutrienti molto più della pura conoscenza oggettiva, consolidata e acquisita da fonti qualificate, priva di interpretazione personale (9). Per diffondere una corretta cultura alimentare, sarebbe dunque necessario un importante cambiamento culturale, per far sì che la conoscenza oggettiva diventi il cardine per consentire al singolo di effettuare scelte in autonomia, basate su una reale consapevolezza.

  1. Martinelli, E., De Canio, F., & Nardin, G. (2021). Perché consumare cibo vegano? Una scelta etica e spirituale, non salutistica. Micro & Macro Marketing, 30(1), 173-193.
  2. Tong, T. Y., Appleby, P. N., Armstrong, M. E., Fensom, G. K., Knuppel, A., Papier, K., … & Key, T. J. (2020). Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study.BMC medicine, 18(1), 1-15.
  3. Selinger, E., Neuenschwander, M., Koller, A., Gojda, J., Kühn, T., Schwingshackl, L., … & Schlesinger, S. (2022). Evidence of a vegan diet for health benefits and risks–an umbrella review of meta-analyses of observational and clinical studies. Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 1-11.
  4. Hibbeln, J. R., Northstone, K., Evans, J., & Golding, J. (2018). Vegetarian diets and depressive symptoms among men. Journal of Affective Disorders, 225, 13-17.
  5. Bakaloudi, D. R., Halloran, A., Rippin, H. L., Oikonomidou, A. C., Dardavesis, T. I., Williams, J., … & Chourdakis, M. (2021). Intake and adequacy of the vegan diet. A systematic review of the evidence. Clinical nutrition, 40(5), 3503-3521.
  6. Meslier, V., Laiola, M., Roager, H. M., De Filippis, F., Roume, H., Quinquis, B., … & Pasolli, E. (2020). Mediterranean diet intervention in overweight and obese subjects lowers plasma cholesterol and causes changes in the gut microbiome and metabolome.
  7. GuaschFerré, M., & Willett, W. C. (2021). The Mediterranean diet and health: A comprehensive overview.Journal of internal medicine, 290(3), 549-566.
  8. Eurispes. 34° Rapporto Italia. Percorsi di ricerca nella società italiana (2022).
  9. Scalvedi, M. L., Gennaro, L., Saba, A., & Rossi, L. (2021). Relationship between nutrition knowledge and dietary intake: an assessment among a sample of Italian adults. Frontiers in nutrition, 8.

 

 

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Dieta onnivora vs diete a base vegetale: che rapporto con l’aspettativa di vita?
Nutrizione
02/08/2022
4 min.
Nutrizione

L’International Journal of General Medicine ha recentemente pubblicato un articolo che afferma come, diversamente da quanto si legge oggi sul web – spesso condito da fonti poco attendibili – un corretto consumo di carne rossa non ha ripercussioni negative in termini di aspettativa di vita e una dieta a base vegetale, in tal senso, non è preferibile.

L’associazione tra una dieta a base vegetale e una maggior durata della vita, infatti, viene messa in discussione, in quanto i dati e gli studi oggi disponibili spesso non sono sufficientemente rappresentativi e, oltretutto, nei diversi studi non vengono rimossi i fattori confondenti come gli stili di vita (sedentarietà, fumo, …), che possono alterare notevolmente i risultati finali (1).

Nel relazionare abitudini alimentari e aspettativa di vita è importante specificare cosa si intende con il termine longevità. Quest’ultima è una favorevole interazione tra fattori genetici e ambientali che portano a un’aspettativa di vita decisamente superiore alla media, libera da condizioni che compromettono qualità e durata della vita. Tra i fattori che determinano una maggior longevità, l’adozione di uno specifico regime alimentare non è un parametro secondario (2).

A tal proposito, una delle prime osservazioni che possiamo fare per validare la funzionalità dei regimi alimentari onnivori rispetto a quelli vegetali è sicuramente quella evoluzionistica. Fin dal primo Paleolitico, infatti, il consumo di carne ha costituito una parte non trascurabile della nostra dieta (3). È merito della carne se sono aumentate le dimensioni della corporatura e del cervello umani, nonché le capacità di sopravvivenza grazie al miglioramento delle funzioni cerebrali. Nonostante ciò, sulla base dell’assunto che la “carne faccia male”, negli ultimi 50 anni si è diffusa la preferenza per regimi alimentari vegetariani e del veganesimo, senza che questi modelli fossero realmente giustificati (1). Studi con campioni rappresentativi condotti in Australia (4) e nel Regno Unito (5), al contrario, hanno dimostrato come il consumo di carne non sia correlato negativamente all’aspettativa di vita dopo aver controllato gli elementi dello stile di vita relativi alla salute.

Anche lo studio di riferimento, utilizzando i dati raccolti dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie, ha provveduto a verificare che, in tutto il mondo, le popolazioni che registrano un maggior consumo di carne in realtà non avessero un’aspettativa di vita inferiore, ma che anzi questa fosse addirittura superiore (1). Nello studio sono stati raccolti i dati da un campione rappresentativo (del 90% della popolazione mondiale) a partire da 175 popolazioni differenti; sono stati considerati nelle analisi i cambiamenti metabolici e fisici potenzialmente negativi in termini di salute e inclusi i principali fattori confounder (tra cui calorie totali consumate, PIL, urbanizzazione, obesità e livelli di istruzione). Inoltre, sono stati estratti i dati sull’assunzione mondiale di carne (g/giorno pro capite) di tutti gli anni in cui il dato FAO era disponibile  come variabile indipendente, per correlarli con la aspettativa di vita longitudinale per gli stessi anni. Infine, sono stati ulteriormente raggruppati i Paesi che seguono principalmente la Dieta Mediterranea, il regime alimentare basato sulle cucine tradizionali di Grecia, Italia e altri paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo che Include carne, e principalmente alimenti di origine vegetale, come olio d’oliva, cereali, verdure, frutta, noci ed erbe. Grazie alla combinazione di questi alimenti, la Dieta Mediterranea è considerata una dieta complessivamente sana ed è stata associata a una riduzione della mortalità per tutte le cause nella maggior parte degli studi osservazionali (1).

A seguito dell’analisi statistica, è stato possibile ottenere a livello globale un’associazione trasversale tra il consumo di carne e l’aspettativa di vita alla nascita, all’età di 5 anni e la mortalità infantile a livello di popolazione.

I risultati dell’analisi statistica indicano che i Paesi con una maggiore assunzione di carne hanno una maggiore aspettativa di vita e una minore mortalità infantile. Questa relazione è indipendente dagli effetti dell’apporto calorico, dello status socio-economico, dell’obesità, dell’urbanizzazione e dell’istruzione. Dal punto di vista statistico, il risultato di questo studio indica inequivocabilmente che il consumo di carne è vantaggioso per l’aspettativa di vita in modo indipendente (1).

 

  1. You, W., Henneberg, R., Saniotis, A., Ge, Y., & Henneberg, M. (2022). Total Meat Intake is Associated with Life Expectancy: A Cross-Sectional Data Analysis of 175 Contemporary Populations. International Journal of General Medicine15, 1833.
  2. Nicita-Mauro, V., Basile, G., Maltese, G., Mento, A., Mazza, M., Nicita-Mauro, C., & Lasco, A. (2005). Stile di vita, invecchiamento e longevità. Giornale di Gerontologia35, 340-349.
  3. Lawrie, R. A., & Ledward, D. A. (2014). Lawrie’s meat science. Woodhead Publishing.
  4. Mihrshahi, S., Ding, D., Gale, J., Allman-Farinelli, M., Banks, E., & Bauman, A. E. (2017). Vegetarian diet and all-cause mortality: Evidence from a large population-based Australian cohort-the 45 and Up Study. Preventive medicine97 1-7.
  5. Key, T. J., Thorogood, M., Appleby, P. N., & Burr, M. L. (1996). Dietary habits and mortality in 11 000 vegetarians and health conscious people: results of a 17 year follow up. Bmj313(7060), 775-779.
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Carne rossa: un’alleata contro l’anemia da carenza di ferro
Nutrizione
29/07/2022
4 min.
Nutrizione

Un articolo recentemente pubblicato su The Journal of Nutrition – Nutrient Requirements and Optimal Nutrition – imputa l’aumento dei casi di anemia e i relativi tassi di mortalità tra il 1999 e il 2018 ai recenti cambiamenti nei modelli alimentari, responsabili di una significativa riduzione del consumo di alimenti ricchi in ferro, come la carne rossa(1).

 

In quali condizioni si verifica l’anemia?

In genere si parla di anemia quando i valori di emoglobina, proteina presente nei globuli rossi e deputata al trasporto dell’ossigeno nel circolo ematico, sono inferiori rispetto al normale (12 g/dl nella donna, 13 g/dl nell’uomo), il che può portare a una capacità ridotta del sangue di trasportare ossigeno e dunque a una ridotta soddisfazione delle funzioni fisiologiche del corpo (2).

La carenza di ferro (Fe) è una delle cause principali di anemia, responsabile addirittura della metà dei casi di anemia a livello mondiale (3).  

 

Ferro nell’alimentazione: differenza tra alimenti di origine animale e vegetale

Le principali fonti di ferro nella dieta sono gli alimenti di origine animale, quali pesce, carne e uova (con valori compresi tra 0,2-6 mg/100 g) ma anche alcuni alimenti di orgine vegetale come legumi, frutta secca, cereali integrali e verdure in foglia. Occorre tuttavia fare distinzione tra il ferro presente nei vegetali e quello presente negli alimenti di origine animale. Negli alimenti di origine vegetale, infatti, il ferro è totalmente presente nella sua forma “non-eme”,  caratterizzato da una biodisponibilità ridotta rispetto al ferro eme presente invece esclusivamente negli alimenti di origine animale (40% vs 60% ferro non-eme)(4).

 

Differenze tra ferro eme e non-eme

Oltre alla diversa reperibilità alimentare, tra le due forme di ferro esistono delle importanti differenze a livello fisiologico: mentre l’assorbimento del ferro-non-eme è influenzato dalla presenza o meno di sostanze inibitrici (come i fitati presenti in cereali e legumi) o promotrici (come la vitamina C), il ferro eme viene assorbito da siti altamente specializzati presenti nella mucosa intestinale e non è influenzato dalla presenza di altre sostanze che possono promuovere o inibire la sua assimilazione(5).

 

Anemia da carenza di ferro: quanto influiscono le abitudini alimentari?

Al fine di indagare quali potessero essere le cause di un aumento dei casi di anemia nella popolazione presa a campione tra il 1999 e il 2018, lo studio ha esaminato, oltre alle tendenze temporali della mortalità, della prevalenza di anemia da carenza di ferro e dei valori ematici a essa associati, anche i cambiamenti nell’assunzione di ferro con la dieta, evidenziando come le scelte alimentari possano influire significativamente su questa condizione.
Le analisi statistiche hanno evidenziato che tra il 1999 e il 2018 l’assunzione alimentare di ferro è diminuita di circa il 6,6% negli uomini e del 9,5% nelle donne. Tra le motivazioni che hanno portato a questa diminuizione, oltre a una progressiva preferenza per regimi alimentari plant-based, vi è anche lo spostamento delle preferenze di consumo di carne da prevalentemente di manzo (caratterizzata da concentrazioni di ferro eme più alte) a carni come il pollame (dalle concentrazioni di ferro eme relativamente più basse) (1).

Questi dati evidenziano quanto la carne rossa sia un valido alimento per garantire il corretto apporto di vitamine e preziosi minerali, come il ferro, essenziali per la salute. Il ferro è vitale per molti processi cellulari nel corpo e, come componente dell’emoglobina, è essenziale per mantenere un adeguato trasporto di ossigeno nel sangue. Il ferro eme presente nella carne è più biodisponibile del ferro non eme presente nelle fonti vegetali e, per questo motivo, i consumatori di carne mantengono uno stato di ferro migliore rispetto a chi segue regimi alimentari restrittivi privi di carne (6). Inoltre, la carne rossa è riconosciuta come una fonte preferibile di ferro ematico rispetto al pollame e al pesce (7). Ecco perchè il giusto apporto di carne rossa con la dieta sembra essere una valida strategia per prevenire stati carenziali di ferro, fattore nutrizionale determinante nello sviluppo di condizioni di anemia.

 

  1. Sun, H., & Weaver, C. M. (2021). Decreased iron intake parallels rising iron deficiency anemia and related mortality rates in the US population. The Journal of Nutrition151(7), 1947-1955.
  2. Cullis, J. O. (2011). Diagnosis and management of anaemia of chronic disease: current status. British journal of haematology154(3), 289-300.
  3. World Health Organization. (2011). Haemoglobin concentrations for the diagnosis of anaemia and assessment of severity(No. WHO/NMH/NHD/MNM/11.1). World Health Organization.
  4. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).
    5. Istituto Superiore di Sanità. (2020). Ferro nella dieta. Stili di vita, alimentazione e ambiente.
  5. Cosgrove, M., Flynn, A., & Kiely, M. (2005). Consumption of red meat, white meat and processed meat in Irish adults in relation to dietary quality. British Journal of Nutrition93(6), 933-942.
  6. Johnston, J., Prynne, C. J., Stephen, A. M., & Wadsworth, M. E. J. (2007). Haem and non-haem iron intake through 17 years of adult life of a British Birth Cohort. British Journal of Nutrition98(5), 1021-1028.
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La “carne vegetale” non sostituisce la carne “naturale”
Nutrizione
12/05/2022
3 min.
Nutrizione

Nonostante le apparenti somiglianze in termini di etichette nutrizionali, i metaboliti presenti nell’alternativa di carne a base vegetale e nel manzo differiscono del 90%.
Questo è quanto riportano i ricercatori della Duke University (Durham, North Carolina), in un recente studio pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature.

A fronte del crescente interesse economico e scientifico che suscitano le alternative vegetali, lo studio si è focalizzato sul confronto tra i profili dei metaboliti presenti in carne bovina e fake-meat, al fine di capire se i due alimenti potessero definirsi effettivamente interscambiabili sotto il profilo nutrizionale.
Per farlo i ricercatori si sono avvalsi dell’analisi metabolomica, una tecnica analitica che consente di misurare e confrontare un gran numero di nutrienti e metaboliti presenti nei campioni biologici. In particolare, il confronto è avvenuto tra 18 campioni di carne a base vegetale e altrettanti di carne di manzo alimentata ad erba, sottoposti prima allo stesso metodo di cottura e successivamente al test (1).

Osservando le informazioni nutrizionali in etichetta, su 113 grammi:
La fake-meat contiene 19 g di proteine, 9 g di carboidrati, 14 g di grassi (di cui 8 g saturi) e 250 kcal. Da sottolineare inoltre che, per quel che riguarda i micronutrienti, l’alternativa vegetale risulta fortificata con ferro, acido ascorbico, tiamina, riboflavina, niacina, B6, B12 e zinco.
La carne bovina, d’altra parte, contiene 24 g di proteine, 0 g di carboidrati, 14 g di grassi (di cui 5 saturi) e 220 kcal. I micronutrienti, in questo caso, fanno parte della matrice alimentare naturale.
Se fin qui le due alternative non differiscono in modo significativo, l’analisi metabolomica evidenzia invece come su 190 metaboliti selezionati tra i più comuni e spesso presenti, ben 171 sono diversi nella carne di manzo e nella fake-meat. Infatti, sono 22 i metaboliti trovati esclusivamente nella carne bovina e 51 i metaboliti in quantità superiori rispetto all’alternativa vegetale. Quest’ultima, d’altro canto, presenta 31 metaboliti non presenti nella carne di manzo e 67 composti in quantità superiori (1).

Molti di questi nutrienti sono considerati non essenziali o essenziali in base alle fasi della vita (ad esempio, l’infanzia, la gravidanza o l’età avanzata) e di conseguenza sono spesso poco considerati nelle discussioni sui requisiti nutrizionali umani (2). La loro importanza non dovrebbe tuttavia essere ignorata, poiché la loro assenza (o presenza) esercita un potenziale impatto sul metabolismo umano e sulla salute.
Ad esempio, creatinina, idrossiprolina, anserina, glucosamina e cisteamina sono solo alcuni dei nutrienti trovati esclusivamente nella carne bovina. Questi metaboliti ricoprono un importante ruolo fisiologico e antinfiammatorio e basse assunzioni si associano a disfunzioni cardiovascolari, neurocognitive, retiniche, epatiche, del muscolo scheletrico e del tessuto connettivo (3,4).
In ragione di quanto affermato, lo studio riporta come la carne bovina e le sue alternative a base vegetale non dovrebbero essere considerati veramente intercambiabili dal punto di vista nutrizionale, ma potrebbero essere visti come complementari in termini di nutrienti forniti.

 

  1. van Vliet, S., Bain, J. R., Muehlbauer, M. J., Provenza, F. D., Kronberg, S. L., Pieper, C. F., & Huffman, K. M. (2021). A metabolomics comparison of plant-based meat and grass-fed meat indicates large nutritional differences despite comparable Nutrition Facts panels. Scientific reports11(1), 1-13.
  2. Barabási, A. L., Menichetti, G., & Loscalzo, J. (2020). The unmapped chemical complexity of our diet. Nature Food1(1), 33-37.
  3. Wu, G. (2020). Important roles of dietary taurine, creatine, carnosine, anserine and 4-hydroxyproline in human nutrition and health. Amino acids52(3), 329-360.
  4. Tallima, H., & El Ridi, R. (2018). Arachidonic acid: physiological roles and potential health benefits–a review. Journal of advanced research11, 33-41.
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Proteine della carne: complete ma anche più digeribili
Nutrizione
21/04/2022
3 min.
Nutrizione

Benché stiano emergendo sempre più prodotti vegetali che imitano le caratteristiche sensoriali della carne, è importante ricordare quanto quest’ultima abbia una composizione nutrizionale in termini proteici spesso preferibile a molti altri alimenti. Le proteine della carne, infatti, confrontate a quelle che derivano dagli alimenti di origine vegetale, presentano delle caratteristiche che le rendono non solo più complete, ma anche più digeribili e di elevatissima qualità.

Nonostante sia ormai noto, è importante ricordare cosa si intende quando le proteine della carne vengono definite complete. Le proteine, infatti, non sono tutte uguali e, in base alle loro caratteristiche, contribuiscono in modo differente alle diverse funzioni dell’organismo come, ad esempio, per il ruolo che esercitano nella formazione di ossa, cartilagini, pelle e muscoli o quello che esercitano sul sistema immunitario.

In generale, le proteine sono dei macronutrienti costituiti da delle unità chiamate aminoacidi che il nostro organismo è in grado di produrre oppure no e, se non prodotti ma da assumere con la dieta, gli aminoacidi vengono definiti come essenziali (1). La peculiarità principale della carne è quella di essere dotata di tutti aminoacidi essenziali e pertanto, le proteine che la caratterizzano sono definite proteine complete. Al contrario, le proteine di origine vegetale tendono ad avere una quantità limitata di aminoacidi essenziali (noti come aminoacidi limitanti), il che significa che, se dovessimo scegliere di utilizzare i vegetali come unica fonte proteica, sarebbe improbabile assorbire la quota amminoacidica essenziale per soddisfare le nostre esigenze (2).

Oltre che complete… le più digeribili!
A prescindere dalla loro completezza, è interessante notare anche come le proteine della carne vengano assorbite e utilizzate meglio di altre e, pertanto, possano essere definite come maggiormente digeribili.
Ma come confermarlo?
Seppur venga utilizzato ancora il metodo di valutazione PDCASS (Protein Digestibility Corrected Amino Acid Score) (3), la FAO, non molto tempo fa, ha sviluppato un nuovo e più efficiente sistema di classificazione delle proteine, chiamato Digestible Indispensable Amino Acid Score (DIAAS).
Quest’ultimo risolve i limiti dei metodi precedenti considerando fattori che prima venivano ignorati quali:
– digeribilità dei singoli aminoacidi
con una descrizione più accurata delle fonti proteiche ( il PDCASS al contrario misurava i livelli di proteina grezzi);
– classificazione degli apporti proteici in base alle fasce di età della popolazione
distinte ora in 0-6 mesi per i neonati, 0,5-3 anni per i bambini e > 3 anni per il resto della popolazione ( il PDCASS considerava invece le esigenze del bambino unitamente per l’età compresa fra i 2-5 anni)
– distinzione della qualità proteica in punteggi differenti
con range pari a <75 = nessuna indicazione di qualità, 75-99 = proteine di alta qualità, punteggio ≥100 = proteine di qualità eccellente (il PDCASS invece utilizzava una scala numerica “troncata”, facendo sì che fonti proteiche superiori a 100 venissero nutrizionalmente sottovalutate) (4).

Secondo questo sistema, le proteine di origine animale rientrano tra quelle di qualità eccellente (il punteggio DIAAS% della carne bovina, ad esempio, è 111), tra le proteine di alta qualità troviamo invece quelle che derivano da farine di soia o piselli o in un piatto di ceci (con un punteggio DIAAS% da 92 a 84); infine, tra le proteine prive di indicazioni di qualità rientrano quelle che derivano da alimenti come riso, lenticchie o frutta secca (con un punteggio DIAAS% da 59 a 40) (4,5).

Proteine animali e vegetali che in apparenza non differiscono, considerando quanto esposto, in realtà presentano non poche differenze. Sono molti i fattori che vanno tenuti in considerazione, dalla “completezza” degli aminoacidi presenti, sino alla digeribilità. Imparare a conoscere quello che i diversi alimenti forniscono è la strada giusta per costruire una cultura del cibo che non rinnega un prodotto rispetto all’altro, ma anzi ci rende padroni delle scelte che facciamo con un occhio critico e informato. In quest’ottica le proteine della carne si mostrano una fonte proteica preferibile ad altre e rispettosa delle necessità del nostro organismo.

  1. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione (Edizione 2018).Weikert, C., Trefflich, I., Menzel, J.,
  2. Obeid, R., Longree, A., Dierkes, J., … & Abraham, K. (2020). Vitamin and mineral status in a vegan diet. Deutsches Ärzteblatt International117(35-36), 575.
  3. Schaafsma, G. (2000). The protein digestibility–corrected amino acid score. The Journal of nutrition130(7), 1865S-1867S.
  4. Consultation FAO expert (2011). Dietary protein quality evaluation in human nutrition. FAO Food Nutr. Pap, 92, 1-66.
  5. Fanelli, N. S., Bailey, H. M., Thompson, T. W., Delmore, R., Nair, M. N., & Stein, H. H. (2021). Digestible indispensable amino acid score (DIAAS) is greater in animal-based burgers than in plant-based burgers if determined in pigs. European Journal of Nutrition, 1-15.

 

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Clessidra ambientale: un approccio che rivaluta l’impatto ambientale (anche) della carne rossa
Nutrizione
01/12/2021
2 min.
Nutrizione

A fronte della crescente preoccupazione globale sull’impatto ambientale che genera il consumo di carne, il modello della clessidra ambientale mostra invece come, normalizzando i valori di emissioni in base alle “raccomandazioni nutrizionali europee”, l’impatto generato dal consumo settimanale di carne rispetto a quello di frutta e verdura è pressoché equivalente.

Esattamente, che cos’è questo modello e come si struttura?

È un approccio che nasce dall’esigenza di considerare gli alimenti prima di tutto come fonte di nutrienti, relazionando in maniera puntuale l’effettivo impatto ambientale che possono avere secondo il consumo in un determinato arco temporale. L’impatto ambientale, infatti, non viene calcolato esclusivamente per chilogrammo di prodotto ma quest’ultimo, viene successivamente ripartito in base alla frequenza settimanale di consumo raccomandata per ogni categoria di alimento. Ovvero partendo dalla base, andando verso l’alto, sono presenti le categorie alimentari la cui assunzione viene raccomandata con elevata frequenza (frutta, ortaggi, cereali) sino a quelle per cui non è consigliato superare 1-3 assunzioni settimanali, come per carne, pesce, ecc.

Come gli altri approcci che calcolano l’impatto generato dalle attività umane sull’ambiente, anche la clessidra si rifà al più noto sistema di valutazione degli impatti, il Life Cycle Assesment (LCA), che considera tra i parametri di riferimento la Carbon Footprint, ovvero l’impatto in termini di emissioni di gas a effetto serra.

Osservando la clessidra, è possibile notare come l’impatto settimanale generato dalla categoria che include carne, pesce, uova e legumi sia pressappoco confrontabile a quello della categoria 5, comprendente frutta e verdura, in termini di emissioni settimanali di gas serra.

 

 

Questo modello sembra superare il paradigma che associa gli impatti ambientali esclusivamente agli alimenti considerando invece come prioritario un approccio basato sia sul rispetto delle condizioni ambientali, sia su quello di una sana alimentazione, fondamentale per parlare di sostenibilità che, secondo la sua definizione “ufficiale”, deve essere intesa in triplice accezione: ambientale, sociale ed economica. Questo approccio consente dunque di portare a pari livello ambiente e nutrizione, traducendo le raccomandazioni dietetiche che promuovono la salute e il rispetto del contesto socioculturale ed enogastronomico in logiche ecocompatibili al fine di educare la popolazione al mantenimento della salute personale, collettiva e ambientale.

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