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Alimenti ultra-processati e salute: cosa dice la scienza
Nutrizione
16/11/2021
3 min.
Nutrizione

Negli ultimi anni, si sente sempre più spesso parlare dell’importanza di limitare il consumo di alimenti ultra-processati per ridurre i rischi per la salute. Di cosa si tratta?

La definizione di alimenti ultra-processati è stata coniata dal Professor Carlos Monteiro dell’Università di San Paolo, in Brasile. Monteiro ha infatti sviluppato un sistema di classificazione degli alimenti, NOVA appunto, sulla base del loro grado di trasformazione e quindi dei processi fisici, chimici e biologici che questi subiscono una volta separati dalla loro forma in “natura”, prima che siano consumati o utilizzati per la preparazione dei piatti (1).

Secondo la classificazione NOVA gli alimenti si possono suddividere in 4 gruppi (1):

Gruppo 1 – Alimenti non processati o minimamente processati

Comprende alimenti non trasformati o minimamente trasformati. Gli alimenti non trasformati (o naturali) sono parti commestibili di piante (semi, frutti, foglie, radici) o di animali (muscoli, frattaglie, uova, latte), e anche funghi, alghe e acqua, dopo la separazione dalla natura. Gli alimenti minimamente lavorati sono alimenti freschi naturali sottoposti a processi minimi di lavorazione, quali rimozione di parti non commestibili, essiccazione, macinazione, filtrazione, tostatura, bollitura, pastorizzazione, refrigerazione, congelamento, confezionamento in sottovuoto o fermentazione non alcolica.

Gruppo 2 – Ingredienti culinari processati

Comprende gli ingredienti culinari utilizzati per condire gli alimenti del primo gruppo come zucchero, miele, sale, oli vegetali, burro e brodi ma anche additivi utilizzati per preservare le proprietà originali del prodotto. I prodotti del gruppo 2 sono consumati raramente in assenza di alimenti del primo gruppo. Esempi sono il sale estratto dall’acqua di mare; zucchero e melassa ottenuti dalla canna o dalla barbabietola; miele estratto dai favi e sciroppo d’acero; oli vegetali schiacciati da olive o semi; burro e strutto ottenuti da latte e carne di suino; e amidi estratti da mais e altre piante.

Gruppo 3 – Alimenti processati

Comprende quegli alimenti relativamente semplici realizzati con due o tre ingredienti dei gruppi 1 e 2 e che hanno subito lavorazioni come la cottura, la conservazione e la fermentazione. Si tratta, ad esempio, di verdure e legumi in scatola, carni lavorate, pane, pasta, vino e birra. Questi alimenti possono contenere additivi utilizzati per preservare le loro proprietà originali o per resistere alla contaminazione microbica.

Gruppo 4 – Alimenti ultra-processati

Comprende alimenti e bevande industriali realizzati solitamente con 5 o più ingredienti, inclusi eventuali additivi aggiunti per esaltare i sapori o mascherare qualità sensoriali non desiderate nel prodotto finale. Solitamente, gli alimenti del gruppo 1 sono una piccola percentuale o sono addirittura assenti all’interno dei prodotti ultra-processati.

Relativamente a quest’ultima categoria di alimenti, quella degli ultra-processati appunto, l’esistenza di un’associazione tra il loro consumo e una maggiore mortalità, obesità e rischio di malattie croniche non trasmissibili sembra ormai chiara, come evidenziato da una recente revisione sistematica di 20 studi in cui è stata analizzata l’associazione tra alimenti ultra-processati e rischi per la salute (2).

Che un elevato consumo di alimenti ultra-processati si associ a un maggior rischio di mortalità per diverse cause è emerso anche da uno studio tutto italiano realizzato dai ricercatori dell’Istituto Neuromed di Pozzilli (IS), dell’Università dell’Insubria di Varese, dell’Università di Firenze e del Mediterranea Cardiocentro di Napoli (3). Lo studio infatti ha mostrato su un gruppo di oltre 22.000 soggetti adulti che un consumo elevato di alimenti ultra-processati (>14,6% degli alimenti totali) si associa a un rischio aumentato del 26% di mortalità per tutte le cause, del 58% di mortalità per malattie cardiovascolari e del 52% di mortalità per malattie cerebro-cardiovascolari, rispetto a un consumo basso (<6,6% del totale) (3).

Sebbene i motivi di questa associazione non siano ad oggi del tutto chiari si può ipotizzare che tra le cause vi sia l’elevata quantità di zuccheri e grassi saturi che gli alimenti ultra-processati spesso apportano, ma anche la serie di modificazioni strutturali e nella composizione in nutrienti a cui sono soggetti durante il processo di lavorazione industriale (3).

In una dieta sana ed equilibrata il consumo di alimenti ultra-processati dovrebbe essere quindi limitato il più possibile a favore di alimenti freschi, minimamente trasformati e a partire da materie prime di elevata qualità.

 


1. Monteiro, C. A., Cannon, G., Levy, R., Moubarac, J. C., Jaime, P., Martins, A. P., ... & Parra, D. (2016). NOVA. The star shines bright. World Nutrition, 7(1-3), 28-38.
2. Chen, X., Zhang, Z., Yang, H., Qiu, P., Wang, H., Wang, F., ... & Nie, J. (2020). Consumption of ultra-processed foods and health outcomes: a systematic review of epidemiological studies. Nutrition journal, 19(1), 1-10.
3. Bonaccio, M., Di Castelnuovo, A., Costanzo, S., De Curtis, A., Persichillo, M., Sofi, F., ... & Iacoviello, L. (2021). Ultra-processed food consumption is associated with increased risk of all- cause and cardiovascular mortality in the Moli-sani Study. The American journal of clinical nutrition, 113(2), 446-455.
A cura di
Nutrimi
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La “carta di identità” dei bovini
Sostenibilità
09/11/2021
3 min.
Sostenibilità

C’è un “codice fiscale” anche per i bovini, che consente di riconoscerli in modo univoco e senza errori. È scritto su una targhetta (anzi due, una per ogni orecchio) ove sono riportati i dati di ogni singolo animale. Primo passo per garantire la completa tracciabilità, e dunque la sicurezza, di ogni prodotto di origine animale, dalla carne al latte.

Due “orecchini” (in realtà si chiamano marche auricolari) in materiale plastico, di un vivace colore giallo o rosso salmone, con un codice alfanumerico di 14 caratteri che identifica l’animale, il suo proprietario e l’allevamento di provenienza.

Questo “codice identificativo individuale” è registrato nell’Anagrafe bovina, al quale sono obbligatoriamente iscritti tutti gli animali, anche nel caso di allevamenti con un solo capo allevato. I dati dell’Anagrafe zootecnica sono poi collegati alla Banca dati nazionale, dove per ogni struttura di allevamento vengono precisate le caratteristiche, la tipologia produttiva (latte o carne), il sistema di allevamento e altri dettagli.

Una enorme mole di dati, che non riguarda solo i bovini ma tutti gli animali allevati, la cui gestione e responsabilità ricade sul ministero della Salute.

L’Italia, è bene ricordarlo, è uno dei pochi paesi che vede confluire la medicina veterinaria nell’alveo del dicastero della salute, piuttosto che in quello dell’agricoltura. Questo perché si è preferito dare la precedenza al tema sanitario rispetto a quello economico. È lo stesso principio che ha seguito il legislatore nell’affidare la gestione del farmaco veterinario alle farmacie, al pari di quello a uso umano. In altri paesi europei la commercializzazione di questi farmaci è affidata ai veterinari. Intuibili i conflitti di interesse che ne possono sorgere. In Italia risolti all’origine.

L’attenzione alla salute degli animali (e alla sicurezza per l’uomo, di conseguenza) non si ferma qui. A questo percorso obbligato a garanzia di una totale tracciabilità, si affiancano altri strumenti su base volontaria. È il caso di Classyfarm, un’articolata procedura che consente con la collaborazione di allevatori e veterinari di stilare una “graduatoria” di affidabilità, efficienza e rispetto del benessere animale per ogni allevamento. Suggerendo all’allevatore, quando occorre, i miglioramenti da mettere in atto. Il punteggio conseguito può essere valorizzato in etichetta e rappresentare un valore aggiunto.

Una certificazione che si colloca idealmente nel solco delle politiche europee volte a garantire qualità e sostenibilità degli allevamenti. Un percorso che l’Italia vuole anticipare affiancando a Classyfarm il progetto “Sistema di qualità nazionale per il benessere animale”. Un insieme strategico di certificazione delle produzioni animali che possono così vantare prerogative difficilmente riscontrabili altrove.

A cura di
Angelo Gamberini
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Il bovino e l’economia circolare
Sostenibilità
09/11/2021
3 min.
Sostenibilità

Quello dei nutrizionisti che si occupano di alimentazione dei bovini è un mondo affascinante e inestricabile per i non addetti ai lavori. Un po’ dietologi e un po’ alchimisti, devono vedersela con sigle astruse come NDF (fibra neutro detersa) o UF (unità foraggere), parole arcane come steaming-up o proteine by-pass. E poi formule a volontà per calcolare i fabbisogni in funzione dell’indirizzo produttivo e dello stato fisiologico degli animali.

Perché tanta complessità? Come affermano alcuni nutrizionisti, estremizzando il concetto, non è necessario alimentare i bovini, ma è importante nutrire i miliardi di batteri, protozoi e funghi che abitano nel loro apparato digerente e che lo rendono un erbivoro perfetto. Il bovino, infatti, ha la capacità di trarre nutrimento da alimenti poveri, come possono esserlo fieni ed erbe, grazie alla presenza di quattro stomaci e in particolare del rumine.

Ma basta poco per modificare il delicato equilibrio che si realizza nel rumine e compromettere tutto, anche la salute dell’animale. Per questo le ricerche sull’alimentazione dei bovini vantano una lunga storia e conoscenze approfondite su ogni componente della razione.

Si scopre allora che non tutta l’erba è uguale e nemmeno lo sono gli altri alimenti che possono entrare nella mangiatoia.

Da una parte le leguminose, che vantano la presenza nelle loro radici di un batterio simbionte, il Rhizobium leguminosarum, grazie al quale la pianta è in grado di catturare l’azoto atmosferico e aumentare il tenore in proteine. Di questa famiglia una fra le più utilizzate è l’erba medica, nome evocativo di proprietà nutraceutiche. Poi il grande gruppo delle graminacee che compongono i prati polifiti, indispensabili per la qualità delle loro fibre, fondamentali per il corretto “lavoro” del rumine.

Quando il pascolo non è possibile, la conservazione di questi alimenti è affidata alla fienagione. Pratica antica che affida al sole il compito di togliere l’acqua in eccesso, mantenendo pressoché inalterate le caratteristiche nutritive delle erbe trasformate in fieno. Se il calore del sole non basta, si ricorre alla disidratazione in appositi impianti. Costosa, ma assai efficiente nel conservare tutte le proprietà nutritive della pianta.

Un cenno a parte merita la pratica dell’insilamento. I vegetali, opportunamente triturati, sono compressi e collocati in ambienti privi o quasi di aria, lasciando che le fermentazioni che si instaurano in queste condizioni provvedano alla loro conservabilità. Principale protagonista di questa “formula” è il mais, raccolto a uno stadio di maturazione precoce. Non solo il tutolo con il suo carico di semi, ma tutta l’enorme massa vegetale di questa pianta, che nella sua crescita ha contribuito a sequestrare carbonio, producendo ossigeno e migliorando l’ambiente.

In alcuni casi, in particolare quando la richiesta fisiologica di proteine è elevata, gli insilati sono arricchiti con alimenti ad elevato contenuto proteico. Il pensiero corre alla soia, leguminosa che vanta alte percentuali di proteine. Che possono tuttavia giungere da fonti, per dire, meno “nobili”. Un lungo elenco nel quale figurano le trebbie di birreria, le polpe surpressate di barbabietola o i tanti prodotti derivati dalle lavorazioni in imprese agroalimentari, come molini, pastifici e industrie conserviere

Tutti alimenti (è improprio e riduttivo chiamarli sottoprodotti) che all’indiscussa salubrità accomunano una ricchezza nutrizionale che andrebbe altrimenti sprecata. Non solo, il loro smaltimento, in assenza dei bovini, sarebbe motivo di costi e di un considerevole impatto ambientale. Quel filo d’erba, quello stocco di mais e ciò che resta della birra che stiamo gustando, ci vengono restituiti sotto forma di proteine nobili della carne e del latte, insieme a vitamine indispensabili e preziosi minerali. Un esempio di economia circolare che ha come protagonista il bovino.

A cura di
Angelo Gamberini