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Carne e salute, le nuove evidenze scientifiche assolvono la carne rossa
Nutrizione
25/07/2023
3 min.
Nutrizione

Per anni numerosi studi hanno collegato il consumo di carne rossa all’insorgenza di svariate patologie come malattie cardiovascolari o cancro.   

Quasi tutte queste ricerche però sono di tipo osservazionale e poco inclini a stabilire in maniera convincente un rapporto di causa-effetto. Tante sono inficiate da variabili che possono alterarne il risultato. Ad esempio, è possibile stabilire se chi mangia carne rossa semplicemente consuma meno verdure? O se tende ad avere uno stile di vita meno sano in generale? Magari fuma di più o fa meno esercizio fisico!   

Inoltre, molte di queste ricerche si basano su consumi dichiarati attraverso questionari alimentari e spesso le persone non ricordano con precisione cosa mangiano o, in casi limite, addirittura mentono sulla loro dieta se messe alle strette da un medico.   

Poche evidenze scientifiche, tanta confusione   

In un nuovo studio(1) senza precedenti, i ricercatori del dipartimento IHME (Institute for Health Metrics and Evaluation) dell’Università di Washington hanno analizzato decenni di ricerche sul consumo di carne rossa e sul suo legame con vari esiti sulla salute.   

Lo studio ha indagato sulla possibilità di stabilire una correlazione tra l’insorgenza di sei patologie (cancro del colon-retto, cancro del seno, diabete di tipo 2, cardiopatia ischemica, ictus ischemico e ictus emorragico) e il consumo di carne, quantificando con un sistema “a stelle” (da 0, nessun legame, a 5 stelle, legame certo) l’intensità della correlazione e fornendo risultati inaspettati.   

Secondo la pubblicazione, infatti, esiste un’evidenza molto debole (al massimo 2 stelle) del legame tra il consumo di carne rossa non processata e il cancro del colon-retto, il cancro del seno, il diabete di tipo due e la cardiopatia ischemica. Non esiste invece alcuna evidenza di un’associazione tra carne rossa non processata e ictus ischemico o emorragico.   

I ricercatori sottolineano anche come ci sia una sostanziale e diffusa eterogeneità e incertezza tra i vari studi analizzati per tutti e sei i rapporti causa-effetto cosa che compromette la possibilità di stabilire un legame evidente tra consumo e insorgenza delle patologie.   

Un nuovo strumento di valutazione del rischio  

Visti i risultati e la sostanziale inaffidabilità delle pubblicazioni precedenti, lo studio propone un nuovo strumento statistico per la valutazione del rischio denominato “burden of proof risk function” grazie al quale, qualunque ricercatore, potrà valutare l’intensità del legame tra i dati pubblicati e un potenziale rischio per la salute.   

La funzione dà come risultato un singolo numero che, tradotto nel sistema di valutazione a “stelle” fornisce un dato facile da interpretare e difficilmente fraintendibile

(1)Lescinsky, H., Afshin, A., Ashbaugh, C., Bisignano, C., Brauer, M., Ferrara, G., Hay, S. I., He, J., Iannucci, V., Marczak, L. B., McLaughlin, S. A., Mullany, E. C., Parent, M. C., Serfes, A. L., Sorensen, R. J. D., Aravkin, A. Y., Zheng, P., & Murray, C. J. L. (2022, October). Health effects associated with consumption of unprocessed red meat: a Burden of Proof study. Nature Medicine, 28(10), 2075–2082. https://doi.org/10.1038/s41591-022-01968-z
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Carne rossa e salute: come cuocerla al meglio
Nutrizione
16/06/2023
2 min.
Nutrizione

La carne rossa è un’importante fonte di proteine e di nutrienti essenziali, tra cui ferro, zinco e vitamina B12 

Per questo motivo è importante integrare correttamente questo alimento dalla dieta: un aspetto che ha un impatto sulla salute che spesso viene trascurato è la modalità di cottura della carne. 

Le alte temperature raggiunte durante la cottura possono favorire la produzione di sostanze nocive quali le ammine eterocicliche (o HCA, dall’inglese HeteroCyclic Amine) e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).  

Pertanto, al fine di consumare carne riducendo i rischi derivanti da alcune tipologie di cottura, è bene prestare la giusta attenzione alle modalità di cottura e limitare a rare occasioni le modalità di cottura più “aggressive” (temperature superiori a 150-180°C, tempi prolungati, esposizione diretta della carne alla fiamma) come il barbecue e la frittura, riducendo in maniera significativa l’apporto nella dieta di molecole ad attività potenzialmente nociva. 

Allo scopo di abbreviare i tempi di cottura sulla griglia, è consigliabile ad esempio effettuare una precottura nel forno. Altra accortezza: durante la cottura al barbecue, andrebbero puliti immediatamente i gocciolamenti di grasso e la carne dovrebbe essere girata frequentemente per evitare che si bruci, oppure cuocere la carne avvolta in fogli di alluminio, limitando il rischio di carbonizzazione.  

Utile anche bilanciare il pasto con verdure ricche in carotenoidi e antiossidanti, quali pomodori e carote. 

Ultima pratica utile: la marinatura. Marinare la carne prima di sottoporla a cottura utilizzando olio di oliva, vino, succo di limone, aglio e spezie può contrastare efficacemente la formazione di composti nocivi quali le ammine eterocicliche. 

Via libera, invece, alle modalità di cottura più delicate quali la cottura al vapore, la stufatura, la bollitura

McAfee AJ, McSorley EM, Cuskelly GJ, Moss BW, Wallace JM, Bonham MP, et al. (2009). Red meat consumption: an overview of the risks and benefits. Meat Science. 84(1): 1-13. doi: 10.1016/j.meatsci.2009.08.029.

WHO-IARC. (2015). IARC Monographs evaluate consumption of red meat and processed meat, 26 ottobre 2015.

Magkos F, Rasmussen SI, Hjorth MF, Asping S, Rosenkrans MI, Sjödin AM, et al. (2022). Unprocessed red meat in the dietary treatment of obesity: a randomized controlled trial of beef supplementation during weight maintenance after successful weight loss. American Journal of Clinical Nutrition. 116(6): 1820-1830. doi: 10.1093/ajcn/nqac152.

Lee JG, Kim SY, Moon JS, Kim SH, Kang DH, Yoon HJ. (2015). Effects of grilling procedures on levels of polycyclic aromatic hydrocarbons in grilled meats. Food Chemistry. 199: 632-638. doi: 10.1016/j.foodchem.2015.12.017.
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8 preziosi consigli per grigliare in sicurezza
Nutrizione
19/04/2023
4 min.
Nutrizione

La grigliata fa parte delle tradizioni locali di diversi Paesi e, per tal ragione, è importante ricordare sempre quali sono le buone pratiche per farla nel rispetto della sicurezza alimentare 

Come noto, infatti, cuocere gli alimenti con la griglia può portare alla formazione di sostanze potenzialmente pericolose che possono aderire sulla superficie degli alimenti o formarsi quando le proteine della carne reagiscono con la fiamma diretta.  

Se si griglia nel periodo estivo, alle caratteristiche della cottura si unisce anche il clima caldo, per il quale è bene prestare ancor più attenzione: i tassi di malattie di origine alimentare, infatti, tendono ad aumentare durante i mesi estivi poiché i germi crescono più velocemente in un clima più caldo e umido 

Inoltre, le persone cucinano e mangiano all’aperto, aumentando i rischi per la sicurezza alimentare, poiché spesso grigliano lontane dal sapone e dall’acqua corrente del lavello della cucina (1).  

In ragione di ciò, per poter garantire una grigliata più sicura, l’American Institute for Cancer Research (AICR) (2) e il Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti d’America (USDA) (1) hanno stilato diversi consigli per grigliare con maggior sicurezza. 

I Consigli dell’AICR 

  1. Alternare diversi alimenti: non solo hamburger e bistecche, è possibile essere creativi e grigliare anche altri tagli di carne e verdure, fonte di preziosi micronutrienti.
    2. Marinare: alcuni studi suggeriscono che la marinatura della carne rossa, del pollame e del pesce per almeno 30 minuti possa ridurre la formazione di sostanze indesiderate. Per una marinatura gustosa e protettiva è consigliabile usare un mix di aceto e succo di limone o vino con olio, erbe e spezie.
    3. Precuocere: in caso di tagli più grandi, per ridurre il tempo di contatto tra carne e fiamma, è consigliabile cucinarla parzialmente in forno prima di procedere con il barbecue.
    4. Star “bassi” sia con il fuoco che con i grassi: cuocere la carne a fuoco lento potrebbe ridurre la formazione di ammine eterocicliche e di idrocarburi aromatici policiclici (i sopraccitati composti nocivi). Inoltre, è bene cuocerla al centro della griglia e voltarla frequentemente. Anche rimuovere le parti più grasse della carne può ridurre le fiammate e la carbonizzazione.
    5. Aggiungere colore alla griglia: le verdure grigliate, ad esempio zucchine, cipolle, melanzane e peperoni, sono ottime e apportano sostanze antiossidanti e protettive, oltre a fibre e micronutrienti (2). 

I consigli dell’USDA  

  1. Usare un termometro per alimenti: molte persone possono trovarsi a grigliare da sole per la prima volta. Una lezione importante per chi griglia è ricordare che il colore non è mai un indicatore affidabile di sicurezza e di cottura. Utilizzare un termometro per alimenti per garantire le temperature interne di sicurezza è dunque un’ottima strategia. Il pollame (intero o macinato) dovrebbe avere una temperatura interna di circa 74 °C; bistecche, costolette e arrosti di manzo, maiale, agnello e vitello dovrebbero essere internamente a 63°C. Per sicurezza e qualità, la carne andrebbe lasciata a riposo per almeno tre minuti prima di tagliarla o consumarla. I prodotti preparati con macinato di manzo, maiale, agnello e vitello, infine, dovrebbe avere una temperatura interna di circa 71°C.
  2. Seguire la regola dell’ora nelle giornate calde: quando la temperatura esterna supera i 30°, gli alimenti deperibili come carne e pollame, salse e insalate fredde, frutta e verdura tagliata possono rimanere in tavola solo per un’ora. Dopo un’ora, i batteri nocivi, che possono causare malattie di origine alimentare, possono iniziare a crescere. Per evitare che ciò accada, mantenere i cibi freddi e quelli caldi tali, evitando qualunque contatto tra quelli da cuocere e quelli ancora crudi
  3. Conoscere l’ambiente esterno: durante il barbecue all’aperto, assicurarsi di avere a disposizione disinfettanti per le mani o salviette umide per mantenere le mani pulite prima, durante e dopo la preparazione del cibo. Si può usare acqua calda e sapone per lavare le mani per almeno 20 secondi prima e dopo aver maneggiato il cibo. Si può usare un disinfettante per mani che contenga almeno il 60% di alcol e/o usare salviette umide a base di alcol per igienizzare taglieri o utensili.
1. Zhongming, Z., Linong, L., Xiaona, Y., Wangqiang, Z., & Wei, L. (2021). USDA Provides Food Safety Tips to Grilling Pros and Beginners.

2. American Institute for Cancer Research. (2019). Cancer Experts Issue Warning on Grilling Safety. Available at: https://www.aicr.org/press/press-releases/2019/cancer-experts-issue-warning-on-grilling-safety.html
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Quinto Quarto: le frattaglie da valorizzare
Nutrizione
19/04/2023
3 min.
Nutrizione

Con la definizione di quinto quarto intendiamo tutte le parti commestibili che, nel bovino, non appartengono ai tagli più nobili. Durante la macellazione, l’animale viene diviso in quattro parti per ricavarne i vari tagli, anteriori e posteriori. Nel quinto quarto rientrano, dunque, le frattaglie, che a loro volta si dividono in “frattaglie rosse”, costituite da fegato, cuore, milza, rognone (reni), polmone e lingua, e le “frattaglie bianche”, che comprendono cervello, animelle e trippa. Sembrerebbe anche che alla definizione di quinto quarto si aggiunga il fatto che le frattaglie ammontino a circa un quarto del peso della carcassa. 

Un prezioso ingrediente nella cucina moderna   

Un tempo, queste parti del bovino, appunto considerate scarti, finivano sulla tavola di chi non poteva permettersi altri tagli più pregiati e anche più costosi; oggi, invece, sono considerate una prelibatezza e le ricette che le rendono protagoniste hanno conquistato anche la cucina Gourmet. 

Seppur considerate tagli meno nobili, le frattaglie si distinguono per avere un gusto deciso e particolare, ma soprattutto ottime caratteristiche dal punto di vista nutrizionale. Il quinto quarto, inoltre, deve essere fresco e di qualità per essere consumato nel modo e nel momento migliore, tant’è che all’apparenza deve risultare di colore brillante e sufficientemente umido. 

Una storia di tradizione locale 

Ogni regione ha le proprie tradizioni e ricette. Nota a tutti, ad esempio, è la trippa alla Milanese, o ancora la coda alla Vaccinara, un secondo tipico della città di Roma, per non tralasciare i gustosi crostini di milza toscani. Anche nella cucina delle Dolomiti, viene ampiamente utilizzato il quinto quarto per ricette saporite, come arrosti e spezzatini da gustare con un bel piatto di polenta calda e nutriente 

Due ricette tradizionali a base di milza  

A proposito di cucina tradizionale, perché non provare a conoscere il quinto quarto partendo dalla milza? Vediamo insieme due regioni, due ricette e due mood diversi per gustarla! 

Crostini di milza toscani. Il crostino nasceva con l’idea, nelle famiglie più povere, di non sprecare il pane; il pane secco, infatti, veniva abbrustolito, bagnato con brodo o vino e ricoperto con carne tritata ottenuta dalle parti meno nobili degli animali, come il quinto quarto appunto. Piatto povero sì, ma molto gustoso, apprezzato anche dalla nobiltà, tant’è che i crostini di milza si confermano ad oggi uno degli antipasti più apprezzati della tradizione culinaria toscana. 

Ora chiudete gli occhi e dalla Toscana immaginatevi direttamente a Ballarò, il famoso mercato di Palermo; qui la milza diventa protagonista di un colorato street food: il pani câ meusa, il famoso panino con la milza. 

Oltre alla milza, il pane morbido contiene anche pezzi di polmone e trachea, il tutto bollito e tagliati in fette sottili, soffritti nello strutto. Il panino può essere gustato semplice, con sale, pepe e limone, oppure arricchito con caciocavallo grattugiato o ricotta. 

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Come creare un piatto bilanciato a base di carne rossa?
Nutrizione
19/04/2023
3 min.
Nutrizione

Ai fini di una sana alimentazione, è importante prestare attenzione tanto al quantitativo di proteine, carboidrati e grassi assunti con la dieta, quanto alla fonte da cui derivano, che può più o meno risultare preferibile in termini di qualità dei macronutrienti assunti. A tal proposito, rispetto all’apporto proteico, è importante tenere in considerazione la qualità delle proteine e, in particolar modo quali amminoacidi apportano. Per chiarire ogni dubbio, potremmo definire gli aminoacidi come i mattoncini che costituiscono le proteine e definire essenziali quelli che il nostro organismo non è in grado di produrre da solo, ma che devono essere introdotti con l’alimentazione. Tra questi, un posto d’onore spetta alla leucina, un amminoacido essenziale a catena ramificata, presente in tutte le proteine ma sicuramente più abbondante in quelle di origine animale (1).  

Proteine ad alto valore biologico e Leucina 

La qualità delle proteine può essere valutata attraverso il loro valore biologico. Quest’ultimo è un parametro numerico che valuta la qualità delle proteine che assumiamo con l’alimentazione e, nello specifico, esprime sia il contenuto di aminoacidi essenziali, sia il loro potenziale plastico, ovvero la loro capacità di “costruire la muscolatura” (o stimolare la sintesi muscolare).
Tra i vari nutrienti, le proteine ad alto valore biologico come quelle della carne (di cui abbiamo parlato approfonditamente anche qui) e la leucina sono di particolare interesse per i loro effetti dimostrati sulla salute muscolo-scheletrica (1).  

L’assunzione di alimenti contenenti proteine, infatti, sembrerebbe stimolare la sintesi proteica muscolare, con un picco di circa 2-3 ore dopo l’ingestione (2). Se poi la leucina risulta presente in buone proporzioni sembrerebbe ancor meglio. Essendo uno dei 10 aminoacidi essenziali, la leucina svolge un ruolo importante nella sintesi e nella degradazione delle proteine e, in particolare, nella promozione della sintesi proteica a seguito del pasto (3). 

Questo è ancor più importante da tenere in considerazione quando si invecchia, poiché con l’avanzamento dell’età la sintesi proteica risulta fisiologicamente ridotta (4). Negli individui anziani, infatti, l’apporto proteico dovrebbe essere superiore (di 1,0-1,2 g al giorno per kg di peso corporeo), così da mantenere uno stato proteico positivo. Un uomo anziano di 70 kg dovrebbe, quindi, consumare mediamente tra 70 e 84 g di proteine al giorno,  ricordando sempre che 100g di carne non apportano 100g di proteine ma solo 20g. Ma non solo! Il gruppo di studio PROT-AGE (5) ha proposto per gli anziani un apporto proteico pari a 25–30 g di proteine per pasto per contrastare la perdita di massa magra tipica dell’età, suggerendo al contempo di garantire un apporto di leucina di circa 2.5-2.8 g ai tre pasti principali (5).  

Come tradurre in pratica queste indicazioni nutrizionali?  

La carne rossa non solo contiene proteine ad alto valore biologico, come altri alimenti di origine animale, ma vanta anche un significativo contenuto di leucina: ad esempio, 100 g di fesa di bovino adulto contengono ben 1.894 mg di leucina. Trasformare questo dato in pratica?  

Componiamo insieme il nostro pasto in questo semplice modo: 

– filetto di bovino (120 g); 

– Contorno di verdure grigliate (100 g melanzane, 100 g zucchine) e patate (350 g) condite con olio, aceto, sale e spezie; 

– 2 crackers di riso in accompagnamento; 

– macedonia di frutta mista (50 g fragole, 50 g pesca, 50 g banana); 

Con un pasto così composto, otteniamo un totale di 753 kcal, 34.4 g di proteine con 2.7 g di leucina.  

1. Tessier, A.J. & Chevalier, S. (2018). An update on protein, leucine, omega-3 fatty acids, and vitamin d in the prevention and treatment of sarcopenia and functional decline. Nutrients, 10(8):1099. doi: 10.3390/nu10081099

2. Moore, D.R., Robinson, M.J., Fry, J.L., Tang, J.E., Glover, E.I., Wilkinson, S.B., et al. (2009). Ingested protein dose response of muscle and albumin protein synthesis after resistance exercise in young men. American Journal of Clinical Nutrition, 89(1):161-8. doi: 10.3945/ajcn.2008.26401

3. Sugawara, T., Ito, Y., Nishizawa, N., & Nagasawa, T. (2007). Supplementation with dietary leucine to a protein-deficient diet suppresses myofibrillar protein degradation in rats. Journal of nutritional science and vitaminology, 53(6), 552-555.

4. Devries, M.C., McGlory, C., Bolster, D.R., Kamil, A., Rahn, M., Harkness L., et al. (2018). Protein leucine content is a determinant of shorter- and longer-term muscle protein synthetic responses at rest and following resistance exercise in healthy older women: a randomized, controlled trial. American Journal of Clinical Nutrition. 107(2):217-226. doi: 10.1093/ajcn/nqx028

5. Bauer, J., Biolo, G., Cederholm, T., Cesari, M., Cruz-Jentoft, A.J., Morley, J.E., et al. (2013). Evidence-based recommendations for optimal dietary protein intake in older people: a position paper from the PROT-AGE study group. Journal of the American Medical Directors Association, 14(8):542-59. doi: 10.1016/j.jamda.2013.0 5.021
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Il ferro non è tutto uguale: carne rossa vs spinaci di Popeye
Nutrizione
18/04/2023
4 min.
Nutrizione

Quante volte da bambini ci siamo sentiti dire “mangia gli spinaci che diventi forte”? Tante. E quante volte ci siamo conviti che fosse davvero così? Sempre. 

“Tutta colpa di Popeye”, più conosciuto come Braccio Di Ferro, il marinaio che trangugiava una latta di spinaci e, in un attimo, riempiva i suoi muscoli di forza.  

Ad oggi, fa sorridere pensare che tutta questa bufala sia in parte dovuta a un semplice errore tipografico in una tabella di composizione degli alimenti; è bastato, infatti, l’errore nel posizionamento di una virgola, ed ecco che gli spinaci, per diverso tempo, sono stati ritenuti un prezioso alimento in grado di apportare quantitativi di ferro notevoli, ben 10 volte superiori al loro reale contenuto 

Da lì, sono diversi gli imprenditori che hanno cavalcato l’onda di un valore nutrizionale stratosferico, creando un personaggio capace di contribuire all’impennata del consumo di spinaci (1). L’errore è stato poi corretto, ma ormai era troppo tardi per modificare l’associazione che si era creata nell’immaginario collettivo: spinaci = ferro. 

Qual è la verità sul ferro? 

Il ferro è presente in svariati alimenti, sia di origine animale che di origine vegetale, ma è bene sapere che il ferro non è tutto uguale.
Il ferro-eme, presente nell’emoglobina e nella mioglobina degli alimenti di origine animale (in primis della carne), viene assorbito come tale e in elevata percentuale, circa il 25%, indipendentemente dalla composizione della dieta.
Il ferro non-eme, costituito da sali ferrosi e ferrici, è contenuto negli alimenti di origine vegetale (come gli spinaci per l’appunto), ma presenta una percentuale di assorbimento molto più bassa, circa il 2-13%. Il suo assorbimento, inoltre, dipende dalla presenza nel pasto di altre sostanze riducendosi, ad esempio, quando introdotto assieme ad alimenti ricchi in calcio, un minerale davvero importante per la salute delle ossa.  

Ferro: ogni età ha il suo fabbisogno 

Il ferro ha l’importante compito di permettere il trasporto dell’ossigeno nell’organismo attraverso il sangue e il suo fabbisogno è particolarmente alto per le donne in età fertile. In Italia, inoltre, sembra che gli adolescenti e soprattutto le adolescenti siano un gruppo esposto a grave rischio di carenza di ferro 

È infatti importante sapere che, il fabbisogno di ferro non è uguale in tutte le età e si modifica nel corso della vita: 

– 11 mg nei lattanti; 

– 8 mg nei bambini fino ai 3 anni; 

– 11 mg dai 4 ai 6 anni; 

– 13 mg da 7 a 10 anni; 

– 10 mg nei maschi di 11-14 anni; 

– 13 mg nei maschi di 15-17 anni; 

– 10 mg nei maschi dai 18 anni in su;  

– 18 mg nelle femmine dagli 11 ai 59 anni; 

–  10 mg nelle femmine dai 60 anni in su; 

Particolare attenzione anche al periodo della gravidanza, in cui l’assunzione giornaliera di ferro deve essere pari a 27 mg (1). 

Come assumere ferro eme con la dieta?  

La carne di bovino è un’ottima fonte di ferro biodisponibile. Le carni rosse rappresentano, infatti, un alimento particolarmente efficace per la copertura dei fabbisogni. Oltre a fornire ferro eme, quindi facilmente assimilabile, aumentano l’assorbimento del ferro non eme, svolgendo quindi una importantissima funzione antianemica (delle diverse proprietà nutrizionali della carne rossa abbiamo parlato anche qui).  

Le parti del bovino più ricche di ferro sono le interiora: milza 42 mg, fegato 8.8 mg, rene 8 mg, cuore 4.6 mg, cervello 3.6 mg, lingua 2.8 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). Anche i tagli più comuni e conosciuti si difendono bene. Il filetto di vitello ne contiene ben 2.3 mg/100 g, la fesa di bovino adulto 1.8 mg, mentre i tagli posteriori di bovino adulto o vitellone ne hanno circa 1.6 mg (valori espressi su 100 g di prodotto) (2). 

Un buon piatto a base di carne di bovino può, quindi, essere una valida strategia per fare il pieno di ferro, anche in epoche delicate della vita, quali lo svezzamento e la gravidanza. Basterà adottare alcuni utili accorgimenti: carne ben cotta per le donne in gravidanza e tagli morbidi senza nervature per i più piccoli, da servire in piccoli pezzi, tagliati nel senso della lunghezza. 

1. Tufte, T. (2005). Entertainment-education in development communication. Media and Global Change, Rethinking Communication for Development, 159-174.

2. Società Italiana di Nutrizione Umana (SINU). (2014). Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana IV revisione. 

3. Consiglio per la Ricerca in agricoltura e l’analisi dell’Economia Agraria (CREA). (2019). Tabelle di composizione degli alimenti. AlimentiNUTrizione (2019). 
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Perché è importante non escludere la carne in gravidanza? 
Nutrizione
23/02/2023
3 min.
Nutrizione

La dieta è un fattore chiave per modificare il rischio di sviluppare malattie croniche o problemi per la salute e deve essere considerata un vero e proprio strumento di prevenzione, ancor più durante alcune delicate fasi della vita, come la gravidanza.  

In gravidanza è molto importante contribuire positivamente alla salute del nascituro adottando uno stile di vita sano, poiché un neonato sano ha maggiori possibilità di rimanere in salute anche in età avanzata.   

Il regime dietetico adottato durante la gravidanza, infatti, può avere implicazioni tanto per la salute della madre quanto per quella del nascituro (1).  

Perché preferire una dieta onnivora? 

Le raccomandazioni nutrizionali invitano le donne in gravidanza a consumare una dieta equilibrata e varia caratterizzata da un’assunzione frequente di verdure, frutta, cereali integrali, latticini a basso contenuto di grassi, carne e pesce magri, legumi e noci (2).  

Il consumo di carne e di prodotti a base di carne, in generale, fornisce all’organismo umano l’apporto di importanti nutrienti, tra cui proteine, minerali (come il ferro e il calcio) e vitamine (come quelle del gruppo B), la cui assunzione è dunque fondamentale per scongiurare potenziali rischi. Un buon apporto di ferro, ad esempio, è essenziale per prevenire l’anemia che, durante la gravidanza e in particolare nel terzo trimestre, può causare esiti perinatali avversi tra cui travaglio pretermine, rottura prematura delle membrane e aumento della mortalità materna e fetale (1), così come bassi livelli materni di B12 si associano a insulino-resistenza e a cambiamenti nel rapporto del profilo lipidico nel cordone ombelicale (3).  

La preferibilità di una dieta onnivora in gravidanza è testimoniata anche da diversi studi.  
In un articolo pubblicato sul Journal of Perinatology vengono riportate alcune delle principali differenze riscontrate nelle donne incinte che seguono una dieta vegana o onnivora da cui emerge proprio come chi segue un regime alimentare restrittivo come quello vegano presenti sia un peso gestazionale inferiore, sia un maggior rischio di partorire neonati con un peso e/o una lunghezza alla nascita inferiori al peso normale (4), il che potrebbe avere non pochi esiti avversi per la salute futura del nascituro.  

Dieta onnivora: quale preferire?  

Date le evidenze disponibili sui cambiamenti che influenzano la salute delle donne durante la gravidanza, è preferibile seguire una dieta onnivora, sana e adeguata prima, durante e dopo tutta la gestazione.   

La Dieta Mediterranea (DM) è considerata uno dei modelli alimentari che garantisce un migliore apporto di nutrienti: utilizza generose quantità di olio extravergine di oliva (EVO) come principale grasso e prevede un elevato apporto di alimenti di origine vegetale (frutta, verdura, legumi, noci e semi e cereali integrali non lavorati), un corretto apporto di alimenti di origine animale (pesce, carne, uova e prodotti lattiero-caseari, in particolare yogurt e formaggio, ma non burro o panna) e un basso apporto di dolci (5).  

L’aderenza alla DM durante la gravidanza è associata ad una diminuzione del rischio di diabete gestazionale, delle infezioni del tratto urinario, della prematurità nei neonati e del ridotto peso alla nascita; inoltre è stata anche associata a una migliore qualità del sonno e alla prevenzione di sovrappeso e obesità (5).  

In ragione di ciò, le future madri dovrebbero essere incoraggiate a mantenere questo modello di dieta che non rinuncia ai prodotti di origine animale. Inoltre, non dovrebbero dimenticare l’importanza di consultare un esperto in nutrizione, essere seguite regolarmente per la crescita fetale, e per un adeguato aumento di peso gestazionale durante la gravidanza (4).   

1. Giromini, C., & Givens, D. I. (2022). Benefits and Risks Associated with Meat Consumption during Key Life Processes and in Relation to the Risk of Chronic Diseases. Foods, 11(14), 2063. 
2. Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (2019). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione. 
3. Adaikalakoteswari, A., Vatish, M., Lawson, A., Wood, C., Sivakumar, K., McTernan, P. G., ... & Saravanan, P. (2015). Low maternal vitamin B12 status is associated with lower cord blood HDL cholesterol in white Caucasians living in the UK. Nutrients, 7(4), 2401-2414. 
4. Avnon, T., Paz Dubinsky, E., Lavie, I., Ben-Mayor Bashi, T., Anbar, R., & Yogev, Y. (2021). The impact of a vegan diet on pregnancy outcomes. Journal of Perinatology, 41(5), 1129-1133. 
5. Zaragoza-Martí, A., Ruiz-Ródenas, N., Herranz-Chofre, I., Sánchez-SanSegundo, M., Delgado, V. D. L. C. S., & Hurtado-Sánchez, J. A. (2022). Adherence to the Mediterranean Diet in Pregnancy and Its Benefits on Maternal-Fetal Health: A Systematic Review of the Literature. Frontiers in Nutrition, 9. 
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Proteine animali: le migliori alleate per preservare la salute muscolare in età avanzata
Nutrizione
16/02/2023
4 min.
Nutrizione

Tra le errate convinzioni alimentari diffuse negli ultimi anni vi è sicuramente quella di dover eliminare la carne; tuttavia, il modello della Dieta Mediterranea, noto per essere considerato dai nutrizionisti di tutto il mondo come uno dei migliori in termini di prevenzione delle patologie e di benessere della persona, è un modello basato sul consumo equilibrato di tutte le categorie alimentari.

L’esclusione della carne dalla propria dieta, infatti, può influire negativamente sull’assunzione proteica, funzionale per la salute muscolare, poiché le proteine di alta qualità, caratteristiche degli alimenti di origine animale, sono fondamentali per il mantenimento della salute dei muscoli, soprattutto in età avanzata quando aumenta il rischio di sviluppare sarcopenia (1).

Sarcopenia: che cos’è?

La sarcopenia è un disturbo progressivo e generalizzato della muscolatura scheletrica associato a una maggiore probabilità di esiti avversi, tra cui cadute, fratture, disabilità fisica e mortalità (2). È una condizione debilitante e associata all’avanzamento dell’età, caratterizzata dalla perdita di massa e forza muscolare (3). Si stima che il 30% degli ultrasessantenni e il 50% degli ultraottantenni siano affetti da sarcopenia. Inoltre, poiché si prevede che la popolazione over 85 raddoppierà nei prossimi tre decenni, la sarcopenia sarà un significativo problema di salute pubblica (1). Tra i principali fattori di rischio modificabili per la sarcopenia emerge soprattutto un inadeguato apporto proteico poiché le proteine forniscono gli aminoacidi essenziali per la sintesi proteica muscolare e quindi, come anticipato, per il corretto mantenimento della massa muscolare (3).

Un’adeguata assunzione proteica per supportare la salute muscolare

Le proteine vegetali e animali non sono uguali: differiscono per qualità (cioè per il loro profilo amminoacidico) e biodisponibilità (ovvero per la loro digeribilità).
Le proteine provenienti da fonti animali, nello specifico, sono definite di alta qualità per la presenza di tutti e nove gli amminoacidi essenziali in quantità elevate e per la maggiore biodisponibilità di questi ultimi. Le proteine vegetali, invece, sono caratterizzate da una quantità spesso molto bassa o dall’assenza di uno o più amminoacidi essenziali e questi sono anche meno biodisponibili (per la conformazione della proteina, per la presenza di composti chelanti e per la presenza di fibre dietetiche che limitano la digeribilità proteica) (1).
Alle differenze intrinseche tra le proteine è importante associare anche la ridotta funzionalità gastro-intestinale che sopraggiunge con l’età.
Quest’ultima, infatti, porta a una fisiologica riduzione dell’assorbimento degli amminoacidi e, dunque, optare solo per proteine di per sé metabolizzate con più difficoltà, come quelle vegetali, potrebbe portare a un declino accelerato della massa muscolare.

I cambiamenti legati all’età nella digestione delle proteine, combinati con la risposta dell’organismo a seguito dell’assunzione di fonti proteiche diverse, implicano differenze importanti nella progettazione di piani alimentari personalizzati per adulti più giovani e più anziani (1).
I prodotti animali sono ricchi di nutrienti e sono anche importanti fonti alimentari di calcio, noto per essere protettivo per la salute muscoloscheletrica e pertanto richiesto dal corpo in quantità superiori con l’avanzamento dell’età.
L’importanza della prevenzione per la salute muscolare non inizia solo con la senilità, ma è importante considerarla lungo tutto l’arco della vita (ad esempio, adottando già dalla giovane età uno stile di vita sano e attivo) con aumentata attenzione a partire dai 60 anni.

Proteine della carne e consigli pratici per l’alimentazione quotidiana dei soggetti più fragili

Considerando la diminuzione dell’efficienza dei processi di assorbimento e metabolici che si verifica con l’avanzare dell’età, al fine di soddisfare i fabbisogni nutrizionali e prevenire sarcopenia e/o malnutrizione, è importante aumentare gli apporti proteici: l’obiettivo nutrizionale per la prevenzione a partire dai 60 anni suggerisce l’assunzione di 1,1 grammi di proteine per ogni chilogrammo di peso corporeo tutti i giorni. In caso di stress o effettiva malnutrizione, compatibilmente con la funzionalità renale, l’apporto proteico può essere ulteriormente aumentato arrivando a 1,5-2 grammi di proteine per chilogrammo di peso corporeo al giorno.

Nella scelta delle proteine da assumere è preferibile privilegiare quelle ad alto valore biologico, proprio come quelle presenti nella carne e, più in generale, negli alimenti di origine animale. Questi alimenti garantiscono non solo un corretto apporto proteico, quanto anche migliori apporti di vitamine essenziali per l’età geriatrica, come le vitamine del gruppo B e la vitamina D.
Altri micronutrienti importanti che con l’età vengono meno sono sicuramente i minerali, tra cui in primis il calcio. La perdita di calcio, infatti, è comune in età avanzata e anche in questo caso il ricorso ad alimenti di origine animale è una valida strategia per integrare naturalmente con la sola alimentazione questo prezioso elemento (5).

D’altro canto, una dieta ricca in alimenti vegetali è associata a un miglioramento della salute cardiovascolare; Pertanto, nella pianificazione alimentare dei più fragili (ma non solo) emerge l’importanza di saper combinare il meglio delle soluzioni animali e vegetali capaci di supportare la salute, tra cui anche e soprattutto quella muscolare (6).

1. Reid-McCann, R. J., Brennan, S. F., McKinley, M. C., & McEvoy, C. T. (2022). The effect of animal versus plant protein on muscle mass, muscle strength, physical performance and sarcopenia in adults: protocol for a systematic review. Systematic Reviews, 11(1), 1-9.
2. Cruz-Jentoft, A. J., Bahat, G., Bauer, J., Boirie, Y., Bruyère, O., Cederholm, T., ... & Zamboni, M. (2019). Sarcopenia: revised European consensus on definition and diagnosis. Age and ageing, 48(1), 16-31.
3. Veronese, N., Demurtas, J., Soysal, P., Smith, L., Torbahn, G., Schoene, D., ... & Maggi, S. (2019). Sarcopenia and health-related outcomes: an umbrella review of observational studies. European Geriatric Medicine, 10(6), 853-862.
4. Paddon-Jones D, Rasmussen BB. (2009) Dietary protein recommendations and the prevention of sarcopenia. Curr Opin Clin Nutr Metab Care. 12(1):86–90
5. CREA. (2018). Dossier Scientifico delle Linee Guida per una sana alimentazione.
6.Leroy, F., Beal, T., Gregorini, P., McAuliffe, G. A., & Van Vliet, S. (2022). Nutritionism in a food policy context: the case of ‘animal protein’. Animal Production Science, 62(8), 712-720.
A cura di
Nutrimi
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Alimentazione “veg”: un trend davvero più salutare?
Nutrizione
30/08/2022
5 min.
Nutrizione

Negli ultimi anni, il dibattito su quale regime alimentare preferire in termini di salute ha portato al diffondersi della convinzione che l’adozione di un’alimentazione “veg” possa essere l’unica strada perseguibile.

Di recente, però, la scrittrice Jayne Buxton – epidemiologa ed esperta di salute pubblica, docente presso la School of Population and Public Health della British Columbia University – sembra aver rimesso in discussione questo assunto teorico, attraverso la pubblicazione del suo nuovo libro The Great Plant-Based Con: Why eating a plants-only diet won’t improve your health or save the planet. Nel libro, l’esperta mira a mostrare le due facce della medaglia del veganismo, con la volontà di ridurre gli estremismi offrendo una visione della reale complessità del sistema alimentare.

Oggi, infatti, il consumo di alimenti “veg” è diventato più un trend che un’esigenza. La letteratura esistente ha da tempo studiato questo fenomeno, evidenziando il ruolo principale delle motivazioni etiche e spirituali e limitando invece le ragioni sociali e salutistiche, che hanno attirato l’attenzione degli studiosi solo di recente (1).

 

Dieta e salute: i limiti di un’alimentazione esclusivamente vegetale

L’adozione di un regime alimentare restrittivo come quello vegano, se non opportunamente calibrato ed integrato, sembra avere un impatto negativo in termini di salute, aumentando le probabilità di sviluppare atrofia muscolare (2), malattie della pelle e numerosi altri disturbi (3), tra cui un possibile incremento di sintomi psichici (4). Nel momento in cui vengono escluse completamente categorie di alimenti, infatti, è importante fare scelte alimentari appropriate per poter raggiungere l’adeguatezza nutrizionale. Se non correttamente pianificata e supplementata, anche attraverso integratori e alimenti fortificati o addizionati, una dieta vegana può portare all’insorgenza di diverse carenze nutrizionali (vitamine del gruppo B, vitamina D, acidi grassi omega-3, calcio, ferro, zinco e iodio) (5). Ulteriore insicurezza sull’adeguatezza nutrizionale subentra quando in un regime vegano vengono scelti alimenti vegetali ultra-processati che cercano di emulare le caratteristiche sensoriali e le peculiarità nutritive degli alimenti di origine animale (esempi ne sono le bevande vegetali, la fake meat e l’alt fish) che, in quanto altamente processati, sono spesso ricchi di grassi saturi, zuccheri e sale e poveri di fibre e micronutrienti.

 

Dieta e salute: i vantaggi della Dieta Mediterranea

È invece noto come un regime alimentare basato sulla Dieta Mediterranea, vario ed equilibrato, che non rinuncia al consumo moderato di alimenti di origine animale, sia considerato tra i più protettivi nei confronti di sovrappeso e obesità (6), sia associato a tassi più bassi di insorgenza di diabete, a un migliore controllo glicemico, a una riduzione della mortalità (soprattutto quella cardiovascolare), e a un conseguente aumento della longevità. Inoltre, la Dieta Mediterranea è stata associata a una minore disfunzione cognitiva legata all’età e a una minore incidenza di disturbi neurodegenerativi, in particolare del morbo di Alzheimer (7).

Veganesimo in Italia: un fenomeno in calo

Dopo aver registrato un incremento nazionale nel 2021 nel numero di integralisti vegani, gli ultimi dati Eurispes 2022 (8) confermano un calo del trend (Tab. 1), con oltre il 10% degli intervistati tornato ad un regime alimentare meno restrittivo e solo l’1,3% che dichiara di essere ancora vegano.

Di fronte alla domanda “Ha mai cercato di convincere altre persone a seguire una dieta vegetariana?”, il 62% di coloro che seguono un’alimentazione “veg” ha dichiarato di aver cercato di convincere i propri familiari; il 51,8% ha cercato di convincere il proprio partner; il 43,1% ha cercato di coinvolgere gli amici e il 29,2% ha cercato di convincere i conoscenti.

Tab. 1. Riduzione del trend ‘Veg’ negli ultimi 3 anni. Fonte dati Eurispes (8)

Anno Vegetariani Vegani TOT. VEG ONNIVORI
2020 6,70% 2,20% 8,90% 91,10%
2021 5,80% 2,40% 8,20% 91,80%
2022 5,40% 1,30% 6,70% 93,30%

 

I preconcetti conoscitivi e percettivi degli individui rispetto all’importanza di una dieta equilibrata sono in grado di influenzare le scelte alimentari, il comportamento dei consumatori e l’assunzione di nutrienti molto più della pura conoscenza oggettiva, consolidata e acquisita da fonti qualificate, priva di interpretazione personale (9). Per diffondere una corretta cultura alimentare, sarebbe dunque necessario un importante cambiamento culturale, per far sì che la conoscenza oggettiva diventi il cardine per consentire al singolo di effettuare scelte in autonomia, basate su una reale consapevolezza.

  1. Martinelli, E., De Canio, F., & Nardin, G. (2021). Perché consumare cibo vegano? Una scelta etica e spirituale, non salutistica. Micro & Macro Marketing, 30(1), 173-193.
  2. Tong, T. Y., Appleby, P. N., Armstrong, M. E., Fensom, G. K., Knuppel, A., Papier, K., … & Key, T. J. (2020). Vegetarian and vegan diets and risks of total and site-specific fractures: results from the prospective EPIC-Oxford study.BMC medicine, 18(1), 1-15.
  3. Selinger, E., Neuenschwander, M., Koller, A., Gojda, J., Kühn, T., Schwingshackl, L., … & Schlesinger, S. (2022). Evidence of a vegan diet for health benefits and risks–an umbrella review of meta-analyses of observational and clinical studies. Critical Reviews in Food Science and Nutrition, 1-11.
  4. Hibbeln, J. R., Northstone, K., Evans, J., & Golding, J. (2018). Vegetarian diets and depressive symptoms among men. Journal of Affective Disorders, 225, 13-17.
  5. Bakaloudi, D. R., Halloran, A., Rippin, H. L., Oikonomidou, A. C., Dardavesis, T. I., Williams, J., … & Chourdakis, M. (2021). Intake and adequacy of the vegan diet. A systematic review of the evidence. Clinical nutrition, 40(5), 3503-3521.
  6. Meslier, V., Laiola, M., Roager, H. M., De Filippis, F., Roume, H., Quinquis, B., … & Pasolli, E. (2020). Mediterranean diet intervention in overweight and obese subjects lowers plasma cholesterol and causes changes in the gut microbiome and metabolome.
  7. GuaschFerré, M., & Willett, W. C. (2021). The Mediterranean diet and health: A comprehensive overview.Journal of internal medicine, 290(3), 549-566.
  8. Eurispes. 34° Rapporto Italia. Percorsi di ricerca nella società italiana (2022).
  9. Scalvedi, M. L., Gennaro, L., Saba, A., & Rossi, L. (2021). Relationship between nutrition knowledge and dietary intake: an assessment among a sample of Italian adults. Frontiers in nutrition, 8.

 

 

A cura di
Nutrimi
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Dieta onnivora vs diete a base vegetale: che rapporto con l’aspettativa di vita?
Nutrizione
02/08/2022
4 min.
Nutrizione

L’International Journal of General Medicine ha recentemente pubblicato un articolo che afferma come, diversamente da quanto si legge oggi sul web – spesso condito da fonti poco attendibili – un corretto consumo di carne rossa non ha ripercussioni negative in termini di aspettativa di vita e una dieta a base vegetale, in tal senso, non è preferibile.

L’associazione tra una dieta a base vegetale e una maggior durata della vita, infatti, viene messa in discussione, in quanto i dati e gli studi oggi disponibili spesso non sono sufficientemente rappresentativi e, oltretutto, nei diversi studi non vengono rimossi i fattori confondenti come gli stili di vita (sedentarietà, fumo, …), che possono alterare notevolmente i risultati finali (1).

Nel relazionare abitudini alimentari e aspettativa di vita è importante specificare cosa si intende con il termine longevità. Quest’ultima è una favorevole interazione tra fattori genetici e ambientali che portano a un’aspettativa di vita decisamente superiore alla media, libera da condizioni che compromettono qualità e durata della vita. Tra i fattori che determinano una maggior longevità, l’adozione di uno specifico regime alimentare non è un parametro secondario (2).

A tal proposito, una delle prime osservazioni che possiamo fare per validare la funzionalità dei regimi alimentari onnivori rispetto a quelli vegetali è sicuramente quella evoluzionistica. Fin dal primo Paleolitico, infatti, il consumo di carne ha costituito una parte non trascurabile della nostra dieta (3). È merito della carne se sono aumentate le dimensioni della corporatura e del cervello umani, nonché le capacità di sopravvivenza grazie al miglioramento delle funzioni cerebrali. Nonostante ciò, sulla base dell’assunto che la “carne faccia male”, negli ultimi 50 anni si è diffusa la preferenza per regimi alimentari vegetariani e del veganesimo, senza che questi modelli fossero realmente giustificati (1). Studi con campioni rappresentativi condotti in Australia (4) e nel Regno Unito (5), al contrario, hanno dimostrato come il consumo di carne non sia correlato negativamente all’aspettativa di vita dopo aver controllato gli elementi dello stile di vita relativi alla salute.

Anche lo studio di riferimento, utilizzando i dati raccolti dalle Nazioni Unite e dalle sue agenzie, ha provveduto a verificare che, in tutto il mondo, le popolazioni che registrano un maggior consumo di carne in realtà non avessero un’aspettativa di vita inferiore, ma che anzi questa fosse addirittura superiore (1). Nello studio sono stati raccolti i dati da un campione rappresentativo (del 90% della popolazione mondiale) a partire da 175 popolazioni differenti; sono stati considerati nelle analisi i cambiamenti metabolici e fisici potenzialmente negativi in termini di salute e inclusi i principali fattori confounder (tra cui calorie totali consumate, PIL, urbanizzazione, obesità e livelli di istruzione). Inoltre, sono stati estratti i dati sull’assunzione mondiale di carne (g/giorno pro capite) di tutti gli anni in cui il dato FAO era disponibile  come variabile indipendente, per correlarli con la aspettativa di vita longitudinale per gli stessi anni. Infine, sono stati ulteriormente raggruppati i Paesi che seguono principalmente la Dieta Mediterranea, il regime alimentare basato sulle cucine tradizionali di Grecia, Italia e altri paesi che si affacciano sul Mar Mediterraneo che Include carne, e principalmente alimenti di origine vegetale, come olio d’oliva, cereali, verdure, frutta, noci ed erbe. Grazie alla combinazione di questi alimenti, la Dieta Mediterranea è considerata una dieta complessivamente sana ed è stata associata a una riduzione della mortalità per tutte le cause nella maggior parte degli studi osservazionali (1).

A seguito dell’analisi statistica, è stato possibile ottenere a livello globale un’associazione trasversale tra il consumo di carne e l’aspettativa di vita alla nascita, all’età di 5 anni e la mortalità infantile a livello di popolazione.

I risultati dell’analisi statistica indicano che i Paesi con una maggiore assunzione di carne hanno una maggiore aspettativa di vita e una minore mortalità infantile. Questa relazione è indipendente dagli effetti dell’apporto calorico, dello status socio-economico, dell’obesità, dell’urbanizzazione e dell’istruzione. Dal punto di vista statistico, il risultato di questo studio indica inequivocabilmente che il consumo di carne è vantaggioso per l’aspettativa di vita in modo indipendente (1).

 

  1. You, W., Henneberg, R., Saniotis, A., Ge, Y., & Henneberg, M. (2022). Total Meat Intake is Associated with Life Expectancy: A Cross-Sectional Data Analysis of 175 Contemporary Populations. International Journal of General Medicine15, 1833.
  2. Nicita-Mauro, V., Basile, G., Maltese, G., Mento, A., Mazza, M., Nicita-Mauro, C., & Lasco, A. (2005). Stile di vita, invecchiamento e longevità. Giornale di Gerontologia35, 340-349.
  3. Lawrie, R. A., & Ledward, D. A. (2014). Lawrie’s meat science. Woodhead Publishing.
  4. Mihrshahi, S., Ding, D., Gale, J., Allman-Farinelli, M., Banks, E., & Bauman, A. E. (2017). Vegetarian diet and all-cause mortality: Evidence from a large population-based Australian cohort-the 45 and Up Study. Preventive medicine97 1-7.
  5. Key, T. J., Thorogood, M., Appleby, P. N., & Burr, M. L. (1996). Dietary habits and mortality in 11 000 vegetarians and health conscious people: results of a 17 year follow up. Bmj313(7060), 775-779.
A cura di
Nutrimi